Ricordate il bambino nero del porto di Wilmington, quello che avevamo visto saltellare come un matto nella danza organizzata da Rosa?
Nessun problema, l'avevo dimenticato anch'io.
Me ne rammentai solo quando me lo ritrovai seduto dondolando le gambe al tavolo della cucina di casa mia, al mio ritorno dal penitenziario, mentre mia nipote stava parlando con una donna, nera anche lei.
Al mio arrivo, tutte e due si alzarono in piedi, Rosa corse a darmi il bacio di bentornato; il bambino, invece, poteva avere otto o nove anni, rimase seduto a braccia incrociate, fissandomi in cagnesco.
- Zio, ti presento la signora May Robinson, l'ho conosciuta sulla nave quando sono arrivata; e questo è il suo bambino, Sam.
La signora mi strinse cordialmente la mano; Sam invece continuava a squadrarmi con aria ostile, e solo un piccolo strattone da parte della madre lo convinse a ricambiarmi il buonasera.
- La prego di scusarlo, - si giustificò la signora Robinson. - Siamo venuti ad abitare da poco dalla Florida qui a Waynesville, e vorremmo aprire un ristorante; avevamo perfino individuato un locale perfetto, solo che, quando siamo andati a parlare con il proprietario, lui ci ha cacciati fuori dicendo che non affittava ai negri.
- Io pensavo di lavorare con lei, zio, - rimbeccò mia nipote: - potremmo farne una pousada di cucina bahiana. Se glielo propongo io, può darsi che il proprietario si convincerà.
- Non si convincerà, è cattivo, - mugugnò il bambino con voce rancorosa. - Voi bianchi siete tutti cattivi.
Rosa si accoccolò ai piedi di Sam, gli prese le mani nelle sue.
- Lo sai che anch'io sono bianca, per metà? La mia mamma era la sorella di questo signore grosso che vedi qui: e mamãe era un angelo del Paradiso, con gli occhi azzurri come Iemanjà, la Regina del Mare. Anche questo signore ha gli occhi di mare, ed è tanto buono come lei.
Il bambino mi squadrò con la fronte corrucciata, poco convinto.
- Anche il signor Detterick ha gli occhi dello stesso colore, e ci ha mandati via senza ascoltarci nemmeno.
Il solo sentire quel nome mi provocò una strana fitta allo stomaco, come qualcosa di già sentito. Sarà perché quella era una di quelle classiche situazioni che mi davano sui nervi già prima, figuriamoci ora che ci ero invischiato fino al collo, ritrovandomi da un momento all'altro una nipote nera. A Waynesville in generale, Rosa era stata accolta abbastanza bene; anche la proprietaria del'emporio dove prima andavo da solo a fare la spesa aveva finito per affezionarsi a lei. D'altronde era impossibile non essere contagiati dalla sua allegria e dalla sua semplicità, segregazione razziale o no. Il problema era stata la polizia e tutto il resto: avevo sudato sette camicie per farle avere il passaporto americano, e solo il fatto di essere ufficialmente nata a Bahia, in un Paese dove i matrimoni misti erano possibili, le aveva permesso di vivere a casa con me, e non nel quartiere dei neri. Neri con cui Rosa non si era mai trovata bene, pur avendo provato a familiarizzare.
- Ti rendi conto, zio Brutal? - mi aveva detto una volta inorridita. - A questi neri hanno strappato l'Africa dal cuore! Nessuno conosce una parola di nagô, nessuno ha mai sentito il suono degli atabaques, non sanno nemmeno cos'è il Candomblé!
E, con tutto questo, non avevo una volta visto mia nipote perdere il suo sorriso, anche nei momenti in cui io avrei perso ben altro.
E questo era esattamente uno di quei momenti.
Presi la giacca e il cappello.
- Sapete cosa facciamo? Torniamo da questo signor Detterick, e vedremo se avrà il coraggio di buttare fuori anche me.
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La Rosa dei Venti
FanfictionCold Mountain, North Carolina, Stati Uniti, 1956. La vita di Brutus Howell, detto Brutal, guardia carceraria al braccio minorile del penitenziario, viene sconvolta: una lettera dal Brasile gli preannuncia l'arrivo di sua nipote Rosa, della quale si...