Capitolo 3

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C'erano dei giorni strani, proprio come quello, in cui delle sensazioni, come reminiscenze, galleggivano sotto la pelle, fastidiose, inafferrabili eppure così vicine, come sepolte sotto uno spesso strato di ghiaccio. Flebili fiammelle di qualcosa che aveva provato in passato, l'eco di emozioni, profumi, sensazioni ma soprattutto sentimenti che un tempo le sembrava fin troppo semplice provare ma che ora non sapeva più come evocare. La calma piatta sulla superficie del suo corpo si irradiava fin dentro il nucleo, ed era strano per una persona come lei, che era cresciuta imparando a convivere con la sua incurabile emotività, dover lottare ora per far affiorare le emozioni che sembravano morire sul nascere, come se non fossero abbastanza vere o abbastanza forti per poter fiorire in lei.
Sdraiata nel suo letto, fissava il soffitto, cercando la voglia di alzarsi e iniziare la giornata.
Si sentiva come fatta di sola pelle, strati e strati di pelle che riempivano tutta se stessa senza lasciare spazio a nient'altro che alla liscia superficie del suo corpo.
Un nodo stretto alla gola non smetteva di infastidirla, come se avesse sempre qualcosa di amaro a ricordarle che avrebbe dovuto dire qualcosa, anche se non sapeva ancora bene cosa.
Erano delle piccole cose a far scattare il meccanismo. Un odore particolare, le foglie degli alberi mosse dal vento, una canzone, delle semplici parole e tac ecco che qualcosa dentro di lei iniziava a muoversi piano, strisciando dallo stomaco verso il petto, torcendo organi e strizzando membra, ma non riusciva mai a uscire, quel qualcosa rimaneva là, facendo percepire la sua presenza ma mai manifestandosi.
Era strano e doloroso, sapeva con estrema chiarezza che qualcosa era cambiato, che le mancasse qualcosa e quella era la parte peggiore, la consapevolezza della mancanza.
Poi si girò, stesa accanto a lei c'era Matilde. Le piccole gambe sopra il piumone, i piedi grassocci congelati, la canottiera tutta arrotolata come i suoi lunghi capelli.
"Ehhh come devo fare io con te!" Pensò.
Prese un lembo della coperta e cercò di coprirla. Tempo sprecato. Nemmeno un minuto dopo aveva già tirato nuovamente fuori le gambe, scoprendosi.
Le si avvicinò e inspirò il suo profumo di bambina. Una panacea per la sua anima. Le accarezzò dolcemente la testa, beandosi di quella quiete mattutina. Sospirò. Era ora di alzarsi, il più silenziosamente possibile, nella vana speranzadi potersi godere almeno una bella tazza di caffèlatte in santa pace.
Scese di sotto e si ritrovò al nono girone dell'inferno. Il vaso con i fiori rovesciato, tutta l'acqua nel tavolo e sul pavimento. Le impronte di Arnold per tutta casa. La lettiera dei gatti sparpagliata in ogni dove. I piatti della sera prima ancora da lavare. Lo stendino stracolmo di panni. Però il caffé era pronto già nella sua tazza. Era un'abitudine che Tommaso portava avanti sin dal primo giorno che erano andati a vivere assieme, cinque anni prima. La mattina prima di andare a lavorare lui le faceva il caffé, e le lasciava la tazza piena nella macchinetta.

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