Capitolo 2

3 0 0
                                    

L'aria di metà Febbraio era frizzante, anche se per fortuna aveva smesso di piovere. Elena aveva aprofittato di proposito di quel momento per far uscire il cane, sperando di poter evitare di farlgli inzuppare il lungo pelo nero e risparmiare così una buona mezz'ora per asciugarlo con quel minuscolo e pressoché inutile phon che si ritrovavano.
Un altro sospiro. "Da quando in qua sono diventata così insoddisfatta?".
Continuò a camminare, respirando a fondo l'aria invernale, sentendo il freddo scendere nei polmoni e soffiando una nuvoletta di vapore sulle mani congelate. Non c'erano molti rumori, eccetto quello di qualche auto in lontananza che correva sull'asfalto bagnato. Abitavano in una via molto tranquilla,  con grandi ville e vilette a schiera; la loro era l'ultima, dopo c'erano solo vasti campi e un piccolo bosco di proprietà di un vicino. Si incamminò rimuginando verso il centro abitato, non aveva voglia di infangarsi in mezzo all'erba ne tanto meno di sentire Tommaso lamentarsi tutto il tempo perché il cane lasciava in giro per tutta casa le sue impronte appiccicose, perché il pelo umido puzzava; perché, perché, perché semplicemente perché era fatto così e aveva sempre un buon motivo per lagnarsi.
Come se Arnold avesse capito che qualcosa non andava e dove si stavano dirigendo i suoi pensieri, le posò il grosso muso scuro sul dorso della mano.
"Ehi dolce Dodo, che c'è?".
Si chinò, passando la mano tra l'ispido pelo di quell'adorabile animale, che la guardava coi suoi grandi affettuosi occhi arancioni, aspettando che si rialzasse per proseguire la sua passeggiata serale.
Prese il telefono dalla tasca del cappotto per controllare se ci fosse qualche notifica, poi fece scorrere su e giù qualche volta Instagram, senza però soffermarsi realmente a guardare quello che le passava davanti, infine bloccò lo schermo e lo rimise dentro.
Un tonfo.
"E ti pareva!"
Guardò in giù poi in alto, verso il cielo, una preghiera silenziosa. Sollevò lo smartphone dall'asfalto sperando che non si fosse rotto lo schermo.
"Morde?"
"Si, ha appena finito di mangiare un uomo e non ha lasciato nemmeno le ossa" rispose prima di vedere da chi provenisse la domanda.
Quando si voltò si rese conto che Arnold si era sfilato il collare ed era praticamente montato in groppa ad un uomo che non aveva mai visto. (Cosa assai strana per un paese piccolo come il suo).
Corse immediatamente a recuperare il cane da quella statua di ghiaccio in cui si era trasformato quell'uomo.
"Scusami, non mi ero resa conto. Dai Dodo scendi. È che mi era caduto questo e allora non..."
"Si ok, ma potresti levarmelo di dosso? Se non sai gestire un cane del genere non dovresti tenerlo!"
"Scusa come?"
"Ho detto, bhe insomma, sembra che sia lui a portare in giro te e non il contrario." La squadrò dall'alto al basso come a voler dire che solo perché era alta poco più di un metro e cinquanta allora non era in grado di tenere a bada un cane di 40 kg. Che poi non ce n'era nemmeno bisogno, perché il suo era il cane più buono che avesse mai visto.
Arrossì per la rabbia, prese il cane per il collare ed era sul punto di dire qualcosa quando la bestia iniziò a tirare verso il cancello dei signori Esposito, i quali avevano una cagnolina adorabile per la quale il suo amico a quattro zampe andava matto.
"Arrivederci" si sentí dire, e quando si girò per rispondere dovette soffocare una risata alla vista delle condizioni della giacca di quell'uomo; due enormi impronte di fango che sfumavano verso il basso erano piazzate ai lati delle larghe spalle.
"Le pago la lavanderia" gli urlò in risposta, poiché si era già allontanato di un bel po, e senza nemmeno voltarsi le rispose che non c'è n'era bisogno.
Allora Elena presa da uno strano impulso, tirò su il dito medio e iniziò a sventolaeglielo alle spalle facendogli la linguaccia. Era stufa di tutte le persone che si sentivano in diritto di trattarti di merda, o forse era semplicemente un po stanca e fuori fase.
Non appena si accorse che affacciata da uno spiraglio di una finestra non poco distante c'era una vecchia signora impicciona si infilò immediatamente le mani in tasca e a testa bassa, con le guance che le andavano a fuoco, proseguí nella passeggiata.

Sono sempre io. Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora