Capitolo 7

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Subito dopo la sentenza si coprì gli occhi con le mani. Non era intenzionato a toglierle: non sapeva cosa lo aspettasse ora, come dovesse comportarsi, a chi dovesse andare in contro; non sapeva chi sarebbe stato il prossimo.

"Sta andando tutto troppo veloce..." pensava senza rimuovere le mani, "Ho bisogno di... tempo, un po' di tempo, devo capire che sta succedendo, non è giusto andare avanti così...". Dal mento gocciolavano le lacrime. "Quei due ragazzi avevano tutta una vita davanti a sé, erano giovani, forse anche più piccoli di me e adesso... Per colpa mia... Per la mia codardia...!"

<<Ah, al diavolo!>> disse ad alta voce, chiudendo le mani in pugni ed asciugandosi le guance.

<<Ti fa male da qualche palte tio Leò?>>

Cosa? Chi era? Un bambino?

Leon era seduto appoggiato alla parete, con le gambe piegate, leggermente aperte. Verso di lui si faceva strada gattonando una piccola creatura, che a passi alterni inciampava su un giocattolo per terra e si sbilanciava quasi finendo per rotolare. Senza distogliere lo sguardo verso di lui, il bambino continuava nella sua traversata della stanza, si sedette a gambe incrociate lì davanti e con i suoi grandi occhi blu era come se chiedesse insistentemente una risposta alla sua domanda.

Il ragazzo stava attendendo ancora i nuovi ricordi, non sapeva cosa fare o come reagire, non sapeva chi era quel ragazzino né dove si trovasse. Ma questo il bambino non poteva saperlo. Velocemente si tirò in piedi, e ancora barcollando si avvicinò ancora di più a Leon. Lo guardò un attimo, poi alzò un braccio e posò la sua manina sulle guance di lui: <<Ti fa male qui?>> chiese con una vocina che non poteva far altro che suscitare altre lacrime. <<Mamma te la può fal.. Asp... Aspetta... Ola vado... Ola chiedo a mamma di plendele un celott...>> disse mentre provò a girarsi, ma inciampò e stava per cadere, ma non accadde: Leon lo aveva preso giusto in tempo. Lo guardò. Lo mise seduto accanto a lui. Lo fermò dall'andare nella stanza accanto.

<<Sto... Sto bene... Finn...>>. Era suo fratello. Il suo fratellastro. "La mamma si è... Risposata? E da quanto? 2 mesi?" diceva tra sé e sé.

<<E allola pelchè piangi?>> continuò lui.

<<"Perché"dici? Perché... Perché sono felice!>>. "Bugia". <<Sono felice, ecco tutto!>>. "Menzogna". <<Cos'è? Non si vede? Perché mai dovrei essere triste?>>. "Falso... Falso!>>

Finn lo guardò un attimo, poi volse il viso verso dei cubi alla sua destra e glieli mise tra le gambe.

"Vuole giocare..." <<Ho un fratellino tutto mio. Tu sei il mio fratellino. Ho sempre desiderato un fratellino...>>. "Cosa..."<<E' bellissimo, sai Finn? Avere un nuovo fratellino. E' proprio bello. Ci racconteremo tante cose, sapremo tutto l'uno dell'altro. Ti aiuterò con i compiti a scuola e...>> "Cosa sta succedendo?..." <<... Ci saremo sempre l'uno per l'altro e....>>

Palpitazioni.

Qualcosa era cambiato. Odio. Odio profondo, prima ingiustificato poi... Gelosia. Non lo sopportava, non poteva vederlo: così tranquillo, spensierato, e con la sua semplicità aveva conquistato le attenzioni della madre. La madre non vedeva più Leon ma "Il fratello di Finn"; non era più amorevole solo verso di lui ma soprattutto verso Finn; era "Finn" il primo nome che chiamava rientrando a casa da lavoro. Finn, Finn, Finn... "Finn ovunque!". Non lo sosteneva più così vicino. Doveva stare lontano dalla sua vista. Però... In realtà lui non voleva ma... voleva... ma non voleva... "Aiuto!" pensò Leon con la testa chiusa tra le braccia. Dall'esterno a vederlo sarebbe sembrato intento nel piangere ma dentro di lui non c'era altro che una guerra, una guerra civile oltre limite, combattuta tra le legioni di ricordi e desideri del Leon della prima realtà e le legioni di ricordi e desideri del Leon attuale.

Il gioco dell'inesistenzaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora