Capitolo 2

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L'alba non si fece attendere a lungo, e poche ore dopo la mia visita notturna a quella ragazza, il sole comparve pallido e ancora assonnato dalle montagne lontane. Restai un equilibrio sul ramo di un albero ad osservarlo, mentre un vento forte e insistente mi penetrava nei capelli e nella felpa. Con un salto rapido e molto, molto pericoloso, mi catapultai dall'albero sulla neve soffice, atterrando in punta di piedi. Un piccolo scoiattolino mi guizzò tra le gambe, sfiorandomi con la soffice coda il piede nudo. Si arrampicò velocemente sul mio scettro, che produsse uno spruzzo di neve come una fontana. Spaventato da quell'improvviso rumore, si catapultò direttamente nel cappuccio della mia felpa, solleticandomi con il piccolo musino. Allungai una mano per afferrarlo, ma lui si allontanò, mordendomi in dito.

-Maledizione!- mormorai stringendomi la mano al petto. Lo scoiattolo non dava segno di muoversi dalla sua postazione, così mi avviai di nuovo verso il lago senza calcolarlo minimamente. Mi portai l'indice alle labbra, succhiando via il sangue che continuava ad uscire.

-Stupida bestiaccia- sbiascicai tra me e me, ma quel cosino sembrò afferrare il messaggio e mi graffiò il collo. Seccato da quella messa in scena, rigirai il cappuccio facendolo cadere a terra, e lui produsse un suono stridulo indignato. Guardandomi intorno, e assicurandomi che non ci fosse nessuno, mi chinai e feci una smorfiaccia allo scoiattolo, che finalmente scappò impaurito.

Soddisfatto, proseguii per lo stretto sentiero segnato solo dai passi delle persone che andavano e venivano dal bosco, come le cicatrici di ricordi passati. Sospirai, tristemente solo, magari quello scoiattolo non era così tanto sgradito.

Il lago era diverso dalla notte prima. La neve era aumentata, raggruppata sui bordi della lastra ghiacciata, e il buco da dove ero emerso scomparso. Semplicemente non c'era più. Fui persino tentato di ritornare indietro per controllare se avessi preso la strada sbagliata, ma era impossibile. Sull'albero al mio fianco c'era ancora la traccia della neve, quella dove avevo poggiato la mano. Misedetti a terra, poggiando il mento sulle ginocchia e aspettando l'arrivo di qualcosa, qualcuno, ma nulla si mosse.

Faceva più freddo della sera precedente, anche se non lo sentivo di pelle mia, ma si notava da come insisteva il vento a spazzare via la neve per farne cadere altra nuova, che non ci mise molto ad arrivare. Schioccai le dita, strisciando i palmi sulla neve e incominciò a nevicare delicatamente. Minuscoli fiocchi si insinuarono nella felpa, scivolandomi sulla schiena e rabbrividii involontariamente.

Da lontano si udì un vociare sommesso, proveniente dalla città non lontana. Scattai in piedi e incominciai a volare verso la casa della ragazza, speranzoso di rivederla, magari nascosto dalle foglie di qualche albero vicino. Non ci misi molto ad arrivare, ma ora che non era più buio fu difficile, sia passare inosservato sia ritrovare la sua casa, ora che tutte loro sfilavano alla luce del sole nei grandi giardini verdeggianti, completamente identiche le une alle altre. Sbuffai frustrato e scesi in picchiata verso un'area della zona poco abitata. Ragazzi e ragazze di tutte le età si riversavano per le strade, con gli zaini in spalla a passo di marcia, tristi forse per il ricominciare della scuola. Che giorno era, Lunedì? Sabato? Mi passai una mano tra i capelli, scompigliandoli, però non molto più in ordine dei miei pensieri. Senza farmi vedere, mi infiltrai tra un gruppetto di bambini e uno di ragazze dall'aria secchiona, ma conciato come ero, a piedi scalzi, pallido come un cencio e con due occhi così grandi e colorati da risultare disumani, risaltavo nel complesso come un puntino bianco in mezzo ad un mare nero. Feci per fare retromarcia, ma mi trovai d'avanti ad una ragazza con l'apparecchio e l'aria scorbutica, che non mi degno nemmeno di uno sguardo, ma, con mio grande stupore, mi passo attraverso, come se fossi un fantasma.

Non mi vedevano.

Inghiottì il magone che mi stringeva la gola e sporsi una mano verso il ragazzo più vicino. Niente. Non lo toccai neanche e lui non mi sentì, semplicemente la mia mano scomparve. Da cosa mi dovevo nascondere allora, e come avevo fatto a toccare quella ragazza, come avevo potuto prenderla in braccio se gli altri mi attraversavano non vedendomi?  Ero così distratto a pensarci che non mi accorsi nemmeno di averla d'avanti. Mi squadrava da capo a piedi con rapide occhiatine, tentando di non farsi vedere, ma la notai subito e lei se ne accorse. Smise di fingere e mi guardò attentamente al microscopio, soffermandosi per un attimo sul fatto che ero scalzo, avevo uno scettro in mano e i capelli bianchi. Un ragazzo normale quanto una patata azzurra, insomma. Una sua amica le diede una gomitata sul fianco, guardando nella sua stessa direzione.

La Luna Mi Ha SceltoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora