Bevimi! Mangiami!

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Entriamo a Gordio in un pomeriggio di fine inverno.

Alessandro attraversa la città senza smontare da cavallo, e le strade si riempiono di una folla curiosa; donne, bambini dalla pelle scura, artigiani e mercanti che si affacciano dalle porte delle loro botteghe. Bisbigliano al nostro passaggio, abbassano lo sguardo. La notizia del nostro arrivo a Sagalassos e gli esiti della battaglia di Isso hanno già raggiunto ogni angolo dell'impero persiano.

La nostra avanzata si ferma in prossimità di un tempio. Alessandro fa un cenno con la mano, scende dalla sua cavalcatura e si sistema il mantello sulle spalle.

«Vuoi montare l'accampamento in mezzo alla strada?» Chiede Perdicca, facendo ridere i soldati. Alessandro sogghigna ma non si volta del tutto, il suo sguardo che corre sui gradini e le colonne decorate.

«C'è una leggenda.» Comincia, e so già quali corde le sue parole andranno a toccare, lo capisco dal tono della sua voce. «Un nodo che tiene legato un carro. Chi lo scioglierà diventerà imperatore di tutta l'Asia.»

Si gira e ci guarda, prima me e poi gli altri. I suoi occhi scintillano di malizia e divertimento, in quell'espressione che gli ho visto molte volte sul viso prima di compiere qualche avventatezza, e che ormai ho imparato a conoscere.

Lo seguiamo mentre varca l'ingresso: la nostra presenza ha mobilitato la popolazione, che ci accompagna come un corteo. I sacerdoti ci osservano con riverenza, hanno vesti ricche e preziose tinte di colori vivaci; alle loro spalle si scorgono gli altari per le offerte, statue di dei, e addirittura un gatto con un collare d'oro e le orecchie ornate da gioielli alla maniera egizia che scompare dietro le colonne al nostro passaggio.

Il carro non è nulla di che. La fattura è sicuramente buona, ma le sue assi sono di legno comune, senza decorazioni o rilievi. È legato a un lungo palo che si slancia verso il cielo, nell'ambiente centrale, e se non si trovasse in un luogo sacro dubito mi ci soffermerei anche solo per sbaglio. Alessandro fissa il nodo per un lungo momento, prima di allungare le mani.

Prova a scioglierlo, ci prova veramente, ma i suoi tentativi sono destinati a fallire. Prima stringe le dita attraverso le fessure per provare ad allentare i lacci, ma questi sono troppo saldi e rinuncia subito. Allora tira un lato, poi l'altro, infine tutti e due. Parte dal centro per sbrogliare l'intreccio, si sposta ai lati, ma a nulla porta la sua fatica. Neanche cercare di sfilare la staffa funziona, e ben presto sento l'entusiasmo scemare; dietro di me Tolomeo sposta nervosamente il peso da un piede all'altro e non dice nulla.

Quando si allontana nessuno profila parola. Alessandro si volta, le sopracciglia aggrottate, e ordina di montare l'accampamento al di fuori delle mura.


La notte il mio respiro è pesante. Tengo gli occhi chiusi, ci sono mani che mi accarezzano la schiena, dita che indugiano piano lungo il solco delle ossa facendomi rabbrividire. I baci hanno la consistenza della frutta estiva sotto il sole.

Alessandro piega la testa, scopre il collo alle mie attenzioni ma rimane in silenzio. C'è solo un sospiro un po' più forte che lo tradisce, il suo corpo si tende appena sotto il mio. Odora di mirra, profumi e incenso.

«È solo una vecchia leggenda.» Bisbiglio sulla sua pelle. «Non è nemmeno vera.»

Se il mio commento lo infastidisce, non lo da a vedere. Nella penombra il suo viso è più rilassato, l'espressione più indulgente. Le sue mani scivolano sulle mie spalle.

«Ma io voglio che lo sia.» Dice. «Solo per me.»

Gli dei non esistono, né le leggende, ma le sue parole sono ferme nell'intimità della nostra tenda, così intense, che l'unica cosa che posso fare e crederci.


L'esercito è già pronto a rimettersi in marcia quando ci alziamo. Alessandro si allaccia pigramente l'armatura, e quando usciamo troviamo i soldati schierati, con Perdicca e Tolomeo in prima linea. Gli altri, Leonnato, Pitone, Lisimaco, se ne stanno in disparte, di fronte all'ingresso delle loro tende.

Viene dato l'ordine di smontare l'accampamento, e ben presto mi ritrovo ad osservare la celerità con cui uomini lavorano. A metà mattina, del nostro passaggio non è rimasta traccia.

«Meglio partire adesso.» Avverte Lisimarco, affiancandoci col suo cavallo. «Potremmo percorre una buona distanza prima che faccia buio.»

«Giusto.» Gli concede Alessandro. «Ma prima c'è un nodo da sciogliere.»

Il ragazzo non discute, ma vedo la perplessità inarcargli le sopracciglia. Il nostro rientro in città desta scalpore tra i civili, schiamazzi e pettegolezzi più concitati rispetto a ieri che ci seguono fino all'ingresso del tempio.

È un gesto avventato secondo me, fine a sé stesso; ma conosco Alessandro da una vita e so che la sua testardaggine è pari solo a quella di un dio. Mi sono svegliato con il peso del suo corpo sopra il mio oggi, e la vista dei suoi capelli biondicci tutti spettinati. «Buongiorno!» Ha detto, storcendo la bocca. Ho capito subito che avrebbe tentato ancora.

Si avvicina al carro e il silenzio scende di nuovo nell'aria, i rumori spariscono, gli animali smettono di scalpitare e si acquietano in attesa.

Alessandro mi guarda. Ha gli occhi di due colori diversi: uno chiaro, l'altro scuro, una stranezza che con l'abitudine è diventata meraviglia. Una mano corre all'impugnatura della spada che tiene al fianco.

Una volta Aristotele ci ha detto che ogni azione compiuta in base a una scelta mira ad un bene, un fine. La vita di ogni uomo è vincolata alle sue scelte, è una legge immutabile di questo universo. È una cosa che, nel profondo, abbiamo sempre saputo.

Sguaina la lama e con un colpo secco recide le corde. Il nodo cade a terra, floscio e senza vita.

Gli dei non esistono, ma gli uomini eccezionali sì. È l'inverno dei nostri ventidue anni, siamo ebbri di presunzione e sogni di gloria, e la nostra felicità è così accecante che non possiamo vedere altro che noi.

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