1. St. Marta Hospital

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Noah

Dieci anni prima.

"Goditi i vent'anni, Noah, che la tua è una delle età più belle del mondo!"

Quante cazzate, Dio santo. Sapete cosa c'era di bello nell'avere vent'anni? Nulla, assolutamente nulla. O almeno, se eri me era veramente terribile.

Vivevo in una famiglia disastrata: mio padre era un ex medico, si era ritirato dopo una tragedia che aveva sconvolto gli equilibri della nostra famiglia. D'allora, era diventato una bambola di cera, o almeno, così faceva credere a chiunque non facesse parte del nostro disastrato nucleo familiare.

Mia madre... lei era solo mia madre. Dopo il dramma che ci aveva coinvolti e resi inevitabilmente protagonisti, eravamo stati diseredati dall'alta società. Quale affronto, per una pazza sclerotica come lei. Era risaputo che fosse in possesso di manie di protagonismo, per lei era una vera sventura non sedere più nei salottini privati dell'alta borghesia newyorkese.

Così, aveva ben deciso di organizzare matrimoni combinati per farsi accettare di nuovo in quei circoli di capre ignoranti e altezzose. Come se sposare una con i soldi ci avrebbe tolto l'etichetta di assassini di dosso.

Visto e considerato che avevo messo in salvo il mio gemello convincendolo ad andare a studiare in Cina, ecco che la vittima sacrificale di Tessa ero io. Seduto su quella poltrona fin troppo lussuosa per quello che era il nostro conto in banca, osservavo apatico l'ennesima famiglia che veniva a conoscere il loro probabile futuro genero.

Sembrava un gruppo di strampalati, uno più cicciotto dell'altro meno che per la figlia. Per lo meno, quella volta mi era capitata una ragazza dalle fattezze carine.

Mia madre si sistemava la crocchia color miele come meglio poteva mentre Alan, mio padre, sedeva al suo fianco rigido come un manico di scopa. Con le braccia appoggiate alla poltrona, osservavo tutta quella gente davanti a me e non sentivo nemmeno imbarazzo per il silenzio che si era creato.
Mi guardavo intorno nel salotto per cercare un modo di fuggire a quella desolante realtà.

Mi soffermavo sulle foto di famiglia che mia madre esponeva nel vano tentativo di sentirsi meno in colpa con sé stessa. C'erano ricordi di tutti, anche di lei.

Di lei Non ne parlava nessuno, mai. Era diventata come il diavolo. Il suo nome veniva temuto da chi viveva tra quelle mura. Compreso me. Ricordarla mi devastava.

«Dunque, Noah, mia figlia Katie è-» la signora Wilson si era schiarita la voce e aveva cominciato a parlare a raffica sulle qualità della figlia, mentre la ragazza accanto a lei portava una ciocca di capelli rame dietro l'orecchio e arrossiva imbarazzata.

Sbuffai. Che scena patetica. «Non mi interessa, sinceramente» dissi, notando mia madre irrigidirsi di colpo. Aveva cominciato a stringere la tazzina da tè con tanto vigore da farsi diventare i polpastrelli violacei. «Con tutto il rispetto, signora Wilson, in realtà la cosa che mi preme sapere è una sola, se posso ovviamente chiedere.»

Il torace di mia madre si sgonfiò, segno che si era tranquillizzata. Dopotutto, l'unica cosa che voleva era vedere il suo bambino obbediente e ben educato. A quel punto, la signor Wilson distese il volto in quello che sembrava essere un sorriso, anche se a me ricordava tanto Dudley Dursley di Harry Potter. «Ma certo, caro, dimmi pure!»

Sorrisi beffardo. Era il momento di divertirsi. «Sua figlia scopa bene?» gelo. Perfino mio padre emulò quella che sembrava una minima emozione, il viso gli si era leggermente contratto.

Katie spalancò gli occhi, mia madre divenne così infuriata che potevo benissimo vedere i capillari delle pupille diventare rossi. Avevo trasformato la mia genitrice in lucifero. «Cos'è che hai detto?» la signora Wilson urlò talmente forte che mi sputacchiò in viso.

Girasoli nel buioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora