Parte 1: Meridiani

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Scritte tra Ottobre 2018 e Maggio 2019, le poesie del mio libro Meridiani si collocano in una fase turbolenta della mia vita, caratterizzata da problemi di grande confusione emotiva e intellettuale. Sono i miei componimenti preferiti, e quelli che esprimono meglio la mia visione del mondo. Ad esse tengo tanto quanto tengo alla musica.

Mi iscrivo al corso di laurea di relazioni internazionali all'età di 18 anni, ma ne rimango deluso. Decidendo di seguire una vocazione familiare mi sposto a lingue orientali, pendendo tra l'amore per l'umanesimo e il sapere disinteressato, la responsabilità civile e sociale e una recidiva di liceo scientifico. Provo matematica dopo aver seguito delle lezioni al dipartimento di economia. Fallisco l'esame di analisi, e decido di restare a lingue una volta per tutte, e di rimettermi in carreggiata. Quello che ne risulta è un nuovo me. Un me distinto che si sdoppia, mi prende la mano e si fonde nel mio guscio. Un me eclettico che nasce dalla fusione di tutti quei poli magnetici che mi attraggono da una parte e dall'altra.

Credo che la poesia contemporanea sia ancora drogata di ermetismo ed enjambement. Tutta la postmodernità è un grande calderone confuso con concetti confusi slegati tra loro, in cui il primato del significato e dell'emozione nega ogni valore alla parola e alla musicalità, dunque al metodo di trasmissione dell'idea. Io ritengo che sia necessario il ritorno di una musicalità libera, di uno schema-senza-schemi che renda la poesia piacevole, danzabile, trasponibile in movimenti. La necessità di musicalità deriva anche da una mia ossessione per la musica, in quanto musicista. Riscoprire il valore dell'inutile, della parola di troppo, della rima baciata e alternata, degli schemi obsoleti laddove si vogliono usare. Non è però una poesia alla Saba: tutto ciò che essa è stilisticamente (non certo nei contenuti) si definisce con "farina del mio sacco". Ogni schifezza è una mia colpa, ogni bellezza un mio merito. Sono persone che mi influenzano, non poesie. Persone comuni che trasmettono musica: i colleghi del corso, i familiari, le nemesi, gli amori segreti e non segreti, le folle. Ciascuno di noi trasmette una musica ed è artefice del proprio destino: a questa conclusione giungo con la frase "Sui quaderni su Cauchy (...) e finir così" e con la poesia "Dicembre".

Fra i temi ricorrenti di queste poesie, la costante ricerca dei mille sé; l'esistenza in bilico fra la coscienza del nulla e l'esperienza materiale; il saper leggere nell'essere umano in quanto Umano, troppo umano e il rigetto dell'automazione delle idee e dei sentimenti dell'uomo contemporaneo; la coscienza della fragilità del tempo e dello spazio; il solipsismo del superuomo e l'eterno ritorno. Non dirò altro, perché il lettore possa godere della propria interpretazione.

Stilisticamente sono ancora presenti recidive di enjambement e tendenze ermetiche, ma è anche evidente un tentativo di risolverle a tutti i costi. I dodici mesi dell'anno che danno il titolo alle poesie sono una descrizione in tempo reale della mente non solo mia ma anche di chi c'é e non si limita ad essere passivamente. La necessità di punti saldi a cui reggersi, la ripugnanza per i finti modelli di società e di essere umano cui siamo sottoposti, si risolve infine nella lettura del Siddhartha di H. Hesse, il giorno prima dell'esame di analisi, in cui finalmente trovo la pace e la via da seguire nella vita. Una vita che prendo in mano e costruisco da solo, aggiustandone le fondamenta, accettando i limiti miei e del mondo, e riuscendo a convivere col solipsismo imperante. Il passo definitivo dall'inquietudine alla serenità. Da un essere uomo deciso in quanto serrato nella sua mente all'essere un uomo deciso in quanto padrone di me e del contesto in cui sono inserito, del collettivo di cui faccio parte da situazione a situazione.

Il titolo del libro, Meridiani, è ispirato alla mia passione per la geografia e alla rivista di viaggi della Editoriale Domus. Il suo significato è che essere è viaggiare. Ogni meridiano corrisponde a un'area geografica della propria mente, a un'idea evocata. Così siamo intrepidi Ulisse. Così, come in ogni narrazione che si paragoni a un viaggio immaginario, siamo degli ingenui lettori soggetti a mille sfaccettature diverse del mondo, che ci illudono per nascondere la realtà grezza e materiale che lo porta avanti. Ma è fuggendo dal mondo che poi lo si riesce a rivalutare. Ogni Ulisse torna a casa.

Un ringraziamento va al mio prof di analisi, il poeta Marino Badiale. A lui devo la mia ispirazione poetica. Sfortunatamente, non sa neanche che faccia io abbia.

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