"Allora, lo metterò per iscritto, subito, prima di dire alcun che: io non sono pazza.
Mi chiamo Amelia Harris e sono, o per meglio dire ero, una donna d'affari; tutti nel mondo del commercio mi temevano, mi rispettavano. Ero la figlia di Hugo Gerard Harris, proprietario e fondatore della catena di biciclette HGH. Lo so, poteva sembrare egocentrica come scelta del nome, ma mio padre era molto semplice nelle decisioni; quale nome poteva essere più adatto delle sue iniziali? Dopotutto, chi aveva creato la fabbrica era lui.
Mia madre, Emily Thompson, era una donna piuttosto concentrata sulla ricchezza e sull'aspetto, qualità che mai ho tentato di ereditare. Quando ero piccola e sentivo i commenti della gente sul suo matrimonio, ovvero che aveva sposato mio padre solo per fame di soldi, non vi davo credito. Peccato che una volta cresciuta sono venuta a scoprire in diverse circostanze che quei commenti erano proprio azzeccati. Come ad esempio quando avevo trovato la mia cara mamma a tradire il mio stimato papà. Sono cose che a dodici anni segnano...beh, a qualsiasi età, credo.
Infine, parlerò di mio fratello, George Harris. Che dire di mio fratello? Lui...non è mai stato un asso nell'apprendere. Era più grande di me, ma un pessimo esempio da seguire. Avete presente, psichiatri curiosi, quei tipi di ragazzi che appena vanno alle superiori entrano nel giro della droga e dell'alcol? Ecco, in due parole George era così. Il solito ragazzino viziato figlio di ricchi che a una certa età si ribella; a cosa poi me lo sono sempre chiesto. La mia vita con George inizia con litigate da bambini piccoli, continua con totale indifferenza e finisce quella sera d'Ottobre dei suoi diciannove anni in cui mio padre lo ha disconosciuto come figlio.
Ah, la mia famiglia. Non mi manca affatto.
Mia madre è morta poco tempo dopo quel giorno in cui ho perso un fratello, e mio padre non l'ha presa molto bene. Era vero: Emily Thompson non amava Hugo Gerard Harris, ma lui era completamente pazzo di lei. Non gli ho mai detto che sua moglie lo tradiva, e forse un po' me ne pento. Ma come avrei potuto fare? Dopo la morte di mia madre, confessargli come lei lo avesse pugnalato alle spalle sarebbe stato come uccidere tutti gli anni di apparente felicità in una sola frase.
Anche se siamo di origine inglese, mio padre ha spostato la sede centrale a Milano; più possibilità, diceva, e anche più campagna pubblicitaria.
Io sono nata e cresciuta qui, dove mi trovo anche ora. Ho avuto la più completa istruzione e, anche se la mia famiglia era tutt'altro che perfetta, ero abbastanza felice.
Quando mio padre è morto, ovvero due anni fa, depresso e con l'azienda tenuta insieme, modestamente, da me, tutto il suo patrimonio è andato alla sottoscritta.
E ora, cari psichiatri, vi domanderete: perché una ragazza ricca e così in gamba è impazzita?
Ed ecco la vostra risposta: io non sono impazzita. No, perché io so che quello che vedo da quando mio padre non c'è più è reale, come lo sono io. Non avevo motivo di finire in un ospedale psichiatrico, okay? Io sono solo perseguitata da un mostro. Un pazzo che me la vuol far pagare per essere così dannatamente perfetta!..."
Amelia Harris prese la pagina di diario, la strappò e la lanciò; il foglio ondeggiò a mezz'aria per qualche secondo e si adagiò sul pavimento tirato a lucido.
Per quanto una persona possa non essere pazza, stando a quello che lei diceva, quando questa viene ritenuta tale e rinchiusa inizia a diventare proprio fuori di testa.
Amelia era sempre stata una donna calma e paziente, anche perché tutti al suo servizio svolgevano quello che lei chiedeva, o per meglio dire pretendeva. Aveva sempre avuto un rispetto quasi esagerato per il padre, che l'aveva cresciuta stando alle sue regole. Lei non era mai stata una ribelle.
Però, si può capire che una persona abituata a tutte le agiatezze da quando è venuta al mondo possa sentirsi spaesata quando le vengono all'improvviso imposti un orario per i pasti e lezioni e visite in continuazione.
Tutto era cominciato una notte di un anno e mezzo prima. Amelia stava dormendo, quando aveva percepito la puzza di fumo provenire dal salotto e un calore sempre più forte ai piedi del letto. Così si era alzata, e aveva trovato la casa in fiamme. Tutta la sua splendida villa sembrava avvolta cinta da braccia infuocate, che più passava il tempo più ricoprivano ogni parete.
Amelia aveva tossito e gridato aiuto, ma nessuno aveva risposto. Ed era stato allora che lo aveva visto: il pazzo, tutto nero da capo a piedi e composto mentre il mondo intorno a lei andava a rotoli. La donna, tra le lacrime, aveva implorato quello strano individuo, che se ne stava tutto tranquillo all'angolo della sua camera, e la fissava, la testa leggermente inclinata come quella di un gatto curioso. Eppure quello stava fermo, e ad un tratto aveva iniziato a ridere, una risata gutturale che pian piano aveva invaso tutto il campo sensoriale di Amelia. La donna era balzata strillando giù dal letto ed era scesa per miracolo al piano di sotto, ma senza prima aver visto lo strano sconosciuto appiccare altro fuoco con un paletto che prima non aveva visto.
Quando poi Amelia aveva raccontato la storia dell'uomo in nero alla polizia, questa aveva ribattuto che si fosse trattato di un'allucinazione dovuta al fumo, eppure lei sapeva di aver visto il vero, anche dopo aver tentato inutilmente di auto-convincersi. Il suono di quella risata, che ancora a ripensarci le provocava i brividi, non poteva essere un'invenzione del suo subconscio. Le era entrata nel petto e si era espansa a tutto il corpo, come un virus.
E quello era stato solo il principio. C'era stata quella volta in cui Amelia era tornata a casa tardi dopo il lavoro, e lui aveva iniziato a ridere nel buio di un vicolo di Milano, terrorizzandola al punto da fala gridare a squarcia gola. Le persone nell'edificio avevano chiamato la polizia e lei era stata ammonita per aver infastidito inutilmente le forze dell'ordine. Poi, due mesi dopo, era apparso sul posto di lavoro, durante una riunione. Se ne stava alla finestra, e mimava una risata fragorosa, facendole accapponare la pelle. Lei si era messa a piangere al tavolo, con tutti i colleghi a testimoniare la sua follia. Allora la polizia aveva iniziato ad insistere di farsi vedere da uno psicologo, per il trauma dell'incendio, ma lei non voleva desistere. Era una persona troppo orgogliosa per ammettere di avere una debolezza.
Quando aveva comprato una pistola, dopo cinque casi di apparizione dell'ormai soprannominato Pazzo, e aveva iniziato a sparare nel suo appartamento una notte in cui se l'era trovato in camera, Amelia Harris era stata considerata instabile e costretta a soggiornare nell'ospedale in cui si trovava al momento.
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Il Pazzo
Mystery / ThrillerAllora, lo metterò per iscritto, subito, prima di dire alcun che: io non sono pazza. Mi chiamo Amelia Harris e sono, o per meglio dire ero, una donna d'affari; tutti nel mondo del commercio mi temevano, mi rispettavano. Ero la figlia di Hugo Gerard...