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St. Louis, 14 settembre 1994

I  tacchi neri picchiettavano sul pavimento echeggiando nel corridoio immerso nel silenzio tombale del Saint Louis Hospital for the Criminally Insane, una struttura enorme, vecchia più di cento anni che ancora tentava di ospitare, studiare ed eventualmente riuscire a curare le menti malate dei criminali più pericolosi dello Stato. Una moltitudine di assassini era internata in celle malconce e piccole, e Janina Baker era proprio lì con i brividi sulla pelle. Continuò a camminare guardandosi curiosamente intorno fino a quando non avvistò la piccola cabina informazioni e si fermò.
"Buongiorno, sono Janina Baker FBI – la donna mostrò  il distintivo – sono qui per fare una chiacchierata con un vostro detenuto... Ruben Quinn." disse controllando sul fascicolo se avesse pronunciato bene il nome. L'anziano all'interno della cabina si sporse leggermente in avanti affacciandosi  dalla finestrella in legno. La squadrò languidamente e senza la benché minima ombra di pudore prese a guardarle di nuovo il viso. "FBI – cercò di leggere il suo distintivo – eh?"

Janina cercò di essere più sintetica possibile. "Se non le dispiace, non ho tempo da perdere."

L'uomo sollevò gli occhi al cielo e sbuffò. Le dita rugose strisciarono sul tastierino del telefono componendo man mano un numero. "Informo il direttore della sua visita." Spiegò quasi infastidito.

La Baker era una brillante agente appena diplomata all'Accademia di Quantico, in Virginia. Dopo ventuno settimane di addestramento poteva finalmente presentarsi come: Janina Baker, Agente Speciale dell'FBI. Da sempre era stato il suo sogno, seguire le orme del suo papà, poi un paio di anni prima era diventata una necessità, un modo per risolvere una questione personale. Alan Baker era il dirigente dell'FBI, si era suo padre e no non era stata messa una buona parola su di lei, non aveva avuto nessuna agevolazione. Era arrivata lì con i suoi sacrifici, con le sue forze. Janina era sempre stata una recluta promettente che sapeva il fatto suo.
La giovane donna vide l'anziano annuire al telefono e agganciare la cornetta. "Vai al secondo piano, segui  il corridoio, supera i bagni, a sinistra troverai l'ufficio del direttore Harris."
Janina ringraziò e si avviò verso il secondo piano, non ci volle molto prima di trovare l'ufficio del direttore. Bussò due volte facendo entrare in contatto le nocche con il legno duro della  porta e al fievole 'avanti' tastò la maniglia aprendo così la porta. "Buongiorno." disse intrufolandosi dentro la stanza.
L'uomo che aveva le braccia incrociate al petto le sciolse e si alzò dalla poltroncina. "Buongiorno agente Baker sono felice di riceverla ."
Janina fece un mezzo sorriso. "La ringrazio per averci permesso di fare luce sulla storia di Ruben Quinn,  signore. Per noi è molto importante." chinò leggermente la testa e i capelli le si spostarono sulle spalle.
"A voi federali non si può dir di no – scherzò – Be' vi dirò, non siete la prima ad essere venuta qui in questi anni, abbiamo ricevuto giornalisti provenienti da ogni parte dell'America e anche un paio dei suoi colleghi poliziotti. Tutti con l'intento di far uscire qualcosa dalla sua bocca. Ma Ruben è un soggetto strano, atipico. Dopo aver confessato al processo non ha voluto dire più niente."

"Ci troviamo in un manicomio criminale Dottor Harris, siamo circondati da persone atipiche." Sbottò Janina.

Harris sorrise. "Ma certo, solo che... be' avrà modo di conoscerlo e capirà... suo padre mi ha parlato molto di lei."

"Il direttore Baker." Lo corresse con fermezza. Odiava essere considerata solo come la figlia di.

"Mi scusi – il responsabile della struttura si schiarì la gola – dunque...-"

"Quando iniziamo?" La giovane si torturò le diverse  pellicine sulle dita, non aveva una manicure così perfetta come avrebbe voluto. Harris voleva fare conversazione. Janina non ne aveva voglia.

"Anche adesso." Disse, stupito da tanta veemenza.

Il Dottor Harris la condusse fino alle celle, passando tra i vari reparti,  tra qualche infermiere e qualche ricoverato con problematiche più o meno gravi; Le spiegò anche che l'ospedale psichiatrico giudiziario in cui si  trovavano era progettato secondo un criterio ben preciso ed era uno dei più grandi d'America: in tutto i piani erano sei, ogni piano aveva una serie di reparti con una cinquantina di celle su ogni piano. I criminali più pericolosi erano reclusi nelle celle al sesto piano, l'ultimo, sorvegliato con attenzione 24h su 24h e proprio  lì  fu condotta mentre scriveva note sul suo quadernino. Sorpassarono  l'ennesima grata di protezione in ferro e l'ennesimo poliziotto fin  troppo teso. Odiavano il loro lavoro era evidente.

Il dottore finalmente si fermò. "Il protocollo mi impone di ricordarle le regole base – si toccò la punta dei cappelli scuri – Non si avvicini e non tocchi il vetro. Non gli dia nulla se non ciò che è consentito - pronunciò una serie di regole e oggetti non consentiti - Niente matite, penne o righelli. Niente fogli, graffette e foto. Se tenta di passarle qualcosa non accetti. Tutto chiaro?»

Lei annuì e per la prima volta da quando aveva visto Harris si rese conto di quanto fosse giovane. In realtà lei non si aspettava di trovarsi di fronte un tipo come lui, alto e ben piazzato. Di solito luoghi come quelli vengono affidati a persone più esperte o quantomeno più adulte. Quando il dottore riprese a camminare osservò come il camice striminzito gli svolazzasse intorno le gambe troppo lunghe.
"Ho una domanda." Disse Janina camminando dietro di lui.

Harris sospirò. "Mi dica."

"Sarò da sola o ci sarà qualcuno insieme a me?" Non che fosse un problema per lei solo che come primo approccio avrebbe preferito compagnia, voleva prima scoprire con che tipo di persona stava per aver a che fare.

"Ovviamente sarà accompagnata da una guardia che le starà accanto per tutto il tempo." Cercò di rassicurarla. Non ho paura. Avrebbe voluto rassicurarlo a sua volta ma restò in silenzio.

"Lo stanno portando qui. Prima di andare le ricordo che lui sarà difronte a lei e tra di voi solo questa lastra di vetro, quindi stia attenta e per ogni eventuale pericolo chiami Bill."

"Perfetto." una guardia sbucò dal nulla e l'affiancò conducendola vicino alla sedia in legno messa al centro della stanza, poi sparì di nuovo. Janina appoggiò la borsa sul ripiano e ne estrasse tutto il materiale che le serviva, poi rimase ferma. Pensò al criminale che di lì a poco l'avrebbe raggiunta, era sospettato di aver ucciso oltre 10 donne in sei anni ma aveva confessato solo per 6. A questo punto la domanda che sorgeva spontanea era: ma precisamente il compito di Janina qual era? Bene, dopo otto anni il processo era stato riaperto. A quanto pare l'unico testimone aveva rivelato di aver detto il falso, o meglio, non era sicura di ciò che aveva visto. Aveva indicato la fotografia si Ruben Quinn ma non era certa che si trattasse di lui quella notte. In quel momento la polizia di St. Louis era stata messa da parte e l'FBI aveva preso in mano la situazione mandando lei a seguire il caso. Fissò la sua immagine poco chiara riflessa sul vetro questo almeno fin quando il rumore metallico di una porta che si apriva la ridestò dai suoi pensieri. Il famigerato Ruben Quinn, lo strangolatore di Saint Louis, stava attraversando quella porta e portava con se un carico di novità non indifferente.

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Questo capitolo è ispirato al film "il silenzio degli innocenti".

Under Wraps || hs AUDove le storie prendono vita. Scoprilo ora