8 - vicoli bui

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I vicoli si stringevano ad ogni curva, ad ogni tombino intasato dalle foglie marce, abbandonate da mesi sotto l'incuria di uomini che avevano dimenticato di esserlo.
Mendicanti dai denti putridi si alternavano a spacciatori di pozioni illegali, con un ritmo che aveva del grottesco e dell'irreale.
Maghi e streghe incappucciati sfrecciavano al loro fianco.
Le vesti sudicie alcuni, gli abiti migliori che erano riusciti a trovare altri, cappotti che avrebbero potuto pagare le bottiglie di alcool da quattro soldi ai primi per una vita intera, altri ancora.
Ogni tanto la spiava di sottecchi, intenta a stringersi in un mantello troppo grande, a cercare conforto in un pezzo di stoffa che portava impresso l'odore di casa.
La osservava far saettare gli occhi negli angoli bui, in cerca di qualcosa che la legittimasse ad avere paura.
E celava a stento un sorriso divertito, mentre le scopriva in una mano il desiderio represso a fatica di afferrare la sua, in un tentativo infantile di scacciare la paura con chi, di paura, ne aveva fatta per tutta la vita.
Severus Piton non era abituato a quel ruolo.
Così come non era abituato ad avventurarsi tra gli scarti del mondo in compagnia di qualcuno che non fosse un rigetto di bile dell'umanità.
E lei era troppo pura.
Macchiata da una guerra piena di eroi marci, di bugie dette troppo bene e difese troppo male.
La guardava passeggiare tra la feccia, con le sue scarpe da ginnastica tirate fuori per l'occasione, i suoi jeans abbandonati nell'armadio da tempo e il suo sguardo da avvocato indottrinato a diventare imbattibile ben stampato negli occhi.
Un avvocato che non poteva concedersi il lusso di avere paura, né di afferrare la sua mano, lasciata a penzolare in tono di sfida sul mantello nero.
Si scopriva a sorridere, Severus Piton, mentre camminava tra il rigurgito dei respinti e gli sputi di un male che solo apparentemente era stato sconfitto.
E non era più solo.
Quella ragazzina tremante, troppo impegnata a farsi vedere immune alla paura, gli camminava accanto, facendogli sentire che, forse, quel mondo lo aveva salvato per qualcosa di buono.
Per qualcuno ancora capace di difendere la giustizia, e di crederci.
Quando lo vide da lontano, avvolto in un mantello posticcio mentre brandiva un bicchiere sbeccato di whisky da quattro soldi, riconobbe se stesso.
La vetrina impolverata della bettola che riportava sulla porta la scritta "pub" tutta traballante, gli lasciava intuire la voglia di arrendersi di un uomo che si era stufato di scappare, subito dopo essersi stufato dello schifo di vita che si era autoimposto di vivere.
Perché essere un mangiamorte era sempre stata una sconfitta.
E per Thorfinn Rowle non era diverso.
Lo era ai tempi in cui la gente tremava al loro passaggio, lo era ancor di più adesso, mentre con gli ultimi soldi rubati agli innocenti, cercava di affogare nell'alcol quel poco di ricordi che ancora si ostinavano a ritornare, tuffando il naso in un bicchiere lavato male e bevuto peggio, pur di non sentire l'odore sporco di un mondo ancora malato.
Bloccò i suoi passi su un rivoletto di acqua sudicia.
Un gatto in lontananza miagolava la sua agonia da un sottotetto nascosto, mentre un vento, sbucato da chissà dove, importunava la polvere agli angoli della strada.

- "Resta qui!"

Le sussurrò a denti stretti, rivolgendole uno sguardo sfuggente.
Lei sgranò gli occhi, li puntò nei suoi, lasciando finalmente emergere tutta la paura che fino a quel momento si era ostinata a nascondere.

- "Non posso restare qui! Devo seguirla!"

La vide trangugiare la saliva.

- "Le condizioni del tribunale sono queste e io non posso venire meno a..."

- "Taci!"

Silenzio.
Per un attimo Severus lasciò che quella meravigliosa consapevolezza di essere in grado di zittire il mondo con un occhiata ben assestata e una sillaba pronunciata tra i denti gli risalisse la gola, poi allentò le spalle.
Non era più l'uomo di un tempo.
Forse non lo era mai stato realmente, anche se si era imposto di provare piacere nell'interpretare il ruolo del cattivo.

- "Non ho la certezza che questa possa essere una cattura priva di pericoli, Granger!
Quello è un mangiamorte, un uomo che è stato addestrato ad uccidere... e io non ho voglia di averti tra i piedi.
Di avere qualcuno da difendere!"

No, non era abituato.
E forse avrebbe addirittura voluto che quella frase gli uscisse in tono meno scorbutico.
Ma era circondato dalla scenografia che aveva avvolto la sua vita, si era di nuovo trovato a superare angoli bui che non gli permettevano di anticipare le mosse di un male poco nascosto, e adesso, forse sì, un po' di paura l'aveva anche lui.
Ma era una paura diversa.
Perché sapeva benissimo che Rowle non si sarebbe arreso senza combattere, e sapeva benissimo che avrebbe dovuto tirare fuori la bacchetta, lasciando che scagliasse uno di quei tanti incantesimi illegali che aveva conservato nella sua cartucciera per anni, e usato sicuramente una volta di troppo.
Ed era dura ammetterlo a se stesso, ma l'idea che una persona, anche una sola, lo ritenesse innocente oltre ogni dubbio, sussurro o complotto, lo faceva sentire un uomo migliore.
Cosa avrebbe pensato quel giovane avvocato farcito fino agli occhi di una giustizia tanto limpida quanto disarmate, di un incantesimo mortale lasciato uscire con la facilità di una fattura insegnata al primo anno?
Cosa avrebbe pensato di lui e della sua abitudine ad uccidere?
Non lo sapeva, ma sapeva benissimo cosa si provava a vedere la delusione negli occhi del mondo.
E in quelli di lei no, non avrebbe voluto vederla.
Negli occhi dell'unica persona che aveva continuato a credergli, a vedere del buono oltre ai suoi vestiti neri e alla sua maschera da uomo senza anima.
E forse avrebbe voluto dirglielo, forse avrebbe voluto saper trovare le parole giuste per costringerla in quel vicolo, per non guardarlo uccidere con una facilità disarmante.
Senza dover usare minacce, sarcasmo sterile e voce glaciale.
Forse...
Ma non era capace di farlo.
Lui, in fondo, sapeva fare paura.
Sapeva farla meglio di chiunque altro.

- "Ti ho detto di restare qui, ragazzina!
Penso di averti avuta tra i piedi abbastanza...non costringermi ad impedirti di entrare!"

E fu così che Severus Piton si avventurò in quella bettola putrescente, fu così che la osservò di sottecchi nascondersi in un angolo che sembrava un po' meno tetro degli altri, fu così che sfoderò la bacchetta e, ancora una volta, si trasformò nella peggiore interpretazione di se stesso, lontano da chi, malgrado tutto, continuava a credergli.

NOTA DELL'AUTRICE
Chiedo scusa ai miei lettori per il ritardo nella pubblicazione, ma quella di ieri è stata una serata difficile.
Grazie a tutti voi per accompagnare la mia storia con le vostre stelline e i vostri commenti.
Bianca

Di vento, di sabbia e di silenzioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora