Non se ne era nemmeno reso conto, e di colpo si era ritrovato con un grottesco angelo custode a seguirlo ovunque andasse.
A perseguitarlo con domande pungenti ed insopportabili.
A raggiungerlo nel silenzio dei suoi nascondigli che prima di allora nessuno aveva avuto il coraggio di sfidare.
Per qualche tempo l'unica cosa buona di quello stramaledetto accordo, era stato il fatto che Minerva si fosse ripresa lo studio sulla torre, insieme a tutte le fottute rotture di coglioni che si portava dietro.
E lui aveva potuto tornare ad insegnare ad un branco di ignoranti una materia che non avrebbero mai capito, aspettando che le sue ricerche gli inviassero un qualsiasi segnale che avesse potuto tradire il nascondiglio di uno dei suoi vecchi compagni scampato alla giustizia.
Strabattendosene delle circolari del ministero, dei colloqui con i genitori e di tutto quanto l'essere preside aveva rappresentato nei tre anni precedenti.
Sarebbe stato tutto quasi perfetto, se non avesse avuto la Granger come ombra impietosa per tutto il giorno.
Perché si sentiva soffocare.
Quella dannata ragazzina aveva preso alla lettera le condizioni del tribunale.
Poco ci mancava che se la fosse ritrovato nel bagno mentre, dopo una giornata immerso negli odori nauseabondi delle pozioni, si concedeva una doccia ristoratrice.
Per un po' non aveva varcato la soglia dei suoi appartamenti privati, ma Severus Piton non era uno stupido.
Purtroppo era tutt'altro che uno stupido.
E sapeva benissimo che di lì a poco quella scintilla di paura che continuava a leggerle negli occhi si sarebbe spenta, e lei avrebbe rivendicato uno spazio maggiore nella sua vita solitaria.
Ogni tanto si ritrovava a pensare con entusiasmo al silenzio e alla tranquillità che avrebbe potuto rappresentare una cella di Azkaban.
Poi apriva gli occhi e se la trovava davanti, armata della sua determinazione pungente, di qualche sogno spezzato e di un numero inquantificabile di rimpianti.
Perché Hermione Granger aveva trovato una missione e la stava portando avanti con tutto l'entusiasmo che aveva sempre riservato alla vita.
Ma Severus Piton era un uomo invecchiato troppo in fretta per non sapere riconoscere un diversivo.
È lui lo era, un diversivo.
Lo era per lei.
Lo era per Minerva.
Così come lo era stato per l'intero mondo magico, troppo impegnato a cercare un cattivo per riconoscerne uno che stava arrivando.
Aveva passato la sua vita ad essere lo sfigato dapprima, il secchione subito dopo, lo strano da evitare, il silenzioso da guardare con sospetto, il mangiamorte da temere, il professore da odiare, la spia da cui guardarsi le spalle, ed infine l'eroe dal cuore distrutto, prima di trasformarsi in quello troppo sporco per poter essere acclamato con la coscienza pulita.
E adesso...si era trasformato nel diversivo perfetto.
Perché un uomo che aveva guardato la paura dritta negli occhi per tanto tempo da potersi concedere il lusso di ignorarne il potere, sapeva riconoscere qualcuno intento con tutto se stesso a sfuggirle.
Ed Hermione Granger era questo.
Una preda.
Una preda strafottente, mascherata da impavido avvocato dalla battuta pronta, ma pur sempre una preda, vittima di una paura subdola.
Oh, lui sapeva bene cosa volesse dire essere migliore degli altri.
Ma soprattutto sapeva bene cosa volesse dire essere reputati tali.
Perché essere i migliori, infondo, era una cosa semplice.
Ma doverne dare continuamente prova poteva trasformarsi in quanto di più estenuante un essere umano fosse in grado di sopportare.
Perché non ci si poteva permettere di essere deboli.
Non ci si poteva permettere di fermarsi a riprendere fiato.
Non ci si poteva permettere di lasciarsi cadere sulle ginocchia e cominciare a piangere.
E quell'avvocato troppo giovane, strizzato in un vestito troppo stretto, era proprio quello.
Qualcuno a cui non era stato concesso il tempo di fermarsi, di sedersi su un muretto e di guardare il mondo scorrere, anche solo per un attimo.
E così, quasi senza accorgersene, le sue fughe si erano fatte più lente, il suo sarcasmo si era fatto più tenue, i suoi occhi di ghiaccio si erano fermati in quelli color nocciola per qualche secondo durato un istante più del dovuto.
Si era fatto raggiungere.
E forse si era fatto anche guardare.
E improvvisamente si era reso conto di aver smesso di fare paura.
Almeno a lei, perché con il resto del mondo non si dava più nemmeno la pena di sforzarsi troppo.
E adesso che era stato raggiunto si ritrovava spesso a non avere nulla di intelligente da dire.
Oh sì, avrebbe potuto parlare per ore di libri, di pozioni, di formule, di saggi, di storia, di incantesimi.
Ma sulla vita?
Su quella aveva veramente qualcosa di intelligente da dire?
Lui non sapeva neppure esattamente cosa fosse una vita.
Sapeva bene cosa volesse dire sopravvivere, e forse sapeva anche raccontarlo.
Ma delle cose semplici, lui, cosa ne sapeva?
Era in grado di sostenere una conversazione che non prevedesse il sotterfugio?
Sapeva rispondere ad una domanda senza rivolgerle un'altra?
No, non lo sapeva.
E quella maledetta ragazzina continuava a gettargli negli occhi tanta di quella vita da sentirsi invadere i polmoni, e soffocare.
Quando in uno slancio di empatia lei gli aveva chiesto se provasse paura, lui si era sentito incredulo, spiazzato.
Poi si era incazzato, le aveva voltato le spalle e le aveva sbattuto la porta in faccia, con un'irruenza che si era lasciato scappare poche volte nella vita.
Con una violenza ingiustificata.
E infine si era sentito in colpa.
Solo come un cretino, appoggiato con i palmi delle mani allo stipite di una porta che era rimasta in piedi a stento, e pieno di un orgoglio che non aveva mai sentito tanto sterile.
Avrebbe dovuto sbattere la porta in faccia ai suoi vecchi amici, al signore oscuro, ad Albus, che lo aveva obbligato a compiere l'ennesimo omicidio assurdo.
E invece la aveva sbattuta in faccia a lei.
Che sembrava essere la prima persona al mondo ad interessarsi alla cosa.
Perché Severus Piton aveva una paura fottuta.
La aveva da tutta la vita.
Solo che mai nessuno si era fermato un secondo e aveva pensato di chiederglielo.
E si era così abituato al fatto che non importasse un cazzo ad anima viva, che sentirselo domandare da una ragazzina sulla soglia dei suoi sotterranei gli era sembrata una cosa tanto assurda quanto inaffrontabile.
E adesso si sentiva un idiota.
Si sentiva impreparato.
E si sentiva anche in colpa.
Il Severus Piton costretto ad interpretare un ruolo si sarebbe seduto alla sua scrivania, avrebbe preso in mano un libro e, tracannando un bicchiere di whisky, si sarebbe rinchiuso a leggere qualche vecchio scritto incomprensibile al resto del mondo.
Ma il Severus Piton vero, quello che aveva abbandonato molti anni prima, cosa avrebbe voluto fare?
La verità è che quel Severus Piton avrebbe voluto aprire la porta e ringraziarla, quella ragazzina saccente.
La verità è che avrebbe voluto dirle che erano quasi cinquant'anni che aspettava quella domanda.
La verità è che avrebbe voluto confessarle che lui non sapeva più dargliela quella risposta.
Perché era così abituato ad avere paura che non avrebbe saputo vivere altrimenti.
La verità è che non era in grado di fare nulla di tutto questo.
Perché forse quel Severus Piton non era mai nemmeno davvero esistito.
Forse era stato solo un sogno di bambino.
Uno di quelli da cui ti svegli non riuscendo più a riconoscerne appieno i contorni.
Ma una cosa lui la sapeva.
Ed era una cosa talmente semplice da farlo tremare di terrore.
Lui quella porta voleva aprirla.
E voleva provare a chiederle scusa, anche se non aveva neppure idea di come si facesse, a chiedere scusa.
O meglio, lui scusa lo chiedeva ogni notte.
Ma erano fantasmi senza nome, incapaci di concedergli un perdono tanto inutile quanto impossibile.
Non aveva mai avuto davanti qualcuno in grado di rispondergli.
Qualcuno a cui delle sue scuse, forse, potesse importare qualcosa.
Ma chiuse gli occhi, strinse il pomello di ottone fino quasi ad intorpidirsi le dita.
Perché lui, una chance a quel bambino di un tempo, quello ancora capace di leggere qualcosa di buono negli uomini, voleva darla.
E fu così che Severus Piton tirò con forza quella dannata maniglia e se la ritrovo davanti, Hermione Granger, l'avvocato insopportabile.
Con le braccia incrociate, lo sguardo corrucciato e una spavalderia cucita insieme con i fili logori di un orgoglio che era quasi riuscito a mandare in frantumi.
Fu così che si ritrovò a fare un gesto stizzito, indicandole una sedia.
Fu così che si scoprì seduto nel suo studio, con lei seduta davanti.
In silenzio.
Perché entrambi non avevano nulla che sembrasse abbastanza importante da poter dire.
Ma fu anche così che, per la prima volta nella sua assurda vita, non si ritrovò più solo.
STAI LEGGENDO
Di vento, di sabbia e di silenzio
Fiksi PenggemarE fu in quell'attimo che capì la differenza tra il bene e il male. Che capì cos'è a fare di una persona, una brava persona. È il battersi per qualcuno, che non sia se stessi. Oh, lei odiava quell'uomo. Lo odiava di un odio vecchio di anni, mischiato...