Nonostante il soffitto del mio appartamento a Los Angeles sia alto 6 metri e la stanze siano molto grandi, mi sono svegliata con una sensazione terribile, come se stessi per essere schiacciata dalle pareti intonacate di bianco della mia camera da letto.
Il sole mattutino sbircia dalle tende scure che coprono le ampie vetrate. Terrorizzata mi guardo intorno come se da un momento all'altro i muri iniziassero ad avvicinarsi sempre di più a me, il sudore incolla le mie ciocche di capelli biondi sulle guance.
L'unico rumore che si sente nel vuoto della stanza è il respiro irregolare e galoppante, come il mio cuore, con cui mi sono svegliata di scatto.
Chiudo gli occhi ansimante e attendo che il mio battito cardiaco rallenti un po'.
Quando arriva a un ritmo normale conto fino a tre per scivolare via dalle lenzuola e vado ad aprire le pesanti tende dalle vetrate per vedermi comparire un bellissimo panorama di Los Angeles: ovviamente c'è il sole; sorrido, pensando a mio padre, il padre migliore del modo perchè ogni mattina è lui che porta il sole alto nel cielo con il suo furgone magico.
No, non sono pazza: mio padre è seriamente un dio, l'ho sempre saputo e lui non me lo ha mai nascosto; è il dio Apollo.
Con lui ho un rapporto bellissimo, anche se non lo vedo spesso; ma d'altronde è mia madre quella che vedo ancora di meno.
Fin da quando ero bambina i miei genitori sono stati separati, penso sia per il fatto che mio padre sia immortale: mia madre non lo ha mai accettato e credo che porti tanto rancore verso di lui.
Lo ha sempre descritto come un egoista che non ci ha voluti ospitare sull'Olimpo ma lui è l'unica persona che mi abbia mai trattato con riguardo.
Quindi mi ha cresciuta per diventare famosa, forse per colmare questa sua sconfitta che le è stata inflitta da Apollo, trascinandomi da un provino all'altro, facendomi seguire una dieta severissima e affidando il mio abbigliamento a uno stilista privato: poi, a 10 anni, mi hanno dato un ruolo in un musical che è diventato di successo e il suo sogno sembrava realizzato, ma io sono stata privata della mia libertà: la mia vita adesso consiste in photoshooting noiosissimi, interviste, provini, riprese su vari set, ma sopratutto tournè del musical pieni di spettacoli, su spettacoli, su spettacoli.
La mia vita è così piena di impegni che il tempo per me stessa è pari a zero; e tutto non è il tipo di vita che volevo io, lo ha sempre voluto lei.
Di conseguenza sono cresciuta in un mondo di stilisti, registi, attori, manager ecc senza che nessuno badasse realmente a me e a ciò che desidero davvero; mi sento come uno strumento nelle loro mani e quando gli adulti non hanno più bisogno di me, mi chiudono nella mia prigione dorata: un lussuoso attico con vista su los Angeles, mentre mia madre vive la sua vita con i soldi tecnicamente guadagnati da me. La vera egoista della storia è sempre e soltanto stata lei.
Quindi ciò che rimane della mia pazienza, o forse è meglio se la chiamo rassegnazione a una vita da star hollywoodiana, lo devo a mio padre, l'unico adulto che mi abbia mai trattato con serietà, come una normale bambina, una normale figlia.
-Drrrrrrrriiiiiiiiin - Drrrriiiiin-
Un suono acuto di campanello squarcia il silenzio idillico che aveva dato, fino a quel momento, spago ai miei malinconici pensieri.
Eccitata spalanco gli occhi interamente al sole: forse chi è venuto a trovarmi è mio padre! Al solo pensiero la grossa e nauseante bolla di tristezza, che era stata lasciata nella mia testa dalla notte, scoppia per disperdersi in mille goccioline di felicità luccicanti alla luce.
Corro fuori dalla camera lasciandomi sfuggire una rumorosa risata di gioia che rieccheggia per il vuoto del mio appartamento. con le mani tremanti prendo la cornetta del citofono e forse con un po' troppo di entusiasmo rispondo. -Si?-
- Signorina Onoway?- Sento dall'altra parte del filo. E' una voce di un uomo giovane, limpida e convincente ma non è la voce di Apollo.
Delusa sospiro coprendo la cornetta con una mano: tutta la gioia viene spazzata via cosi' facilmente solo perchè il timbro di voce che mi spettavo di sentire non è quello.
Con una punta di amarezza dico piano: -Si, sono io-
-Sono l'autista, sua madre ha ordinato di prelevarla, ha un'intervista con Vouge in programma.-
Oh no, non oggi che è il mio giorno "libero"- penso
-Strano signor autista, oggi non mi risulta nessuna intervista nel programma...- cerco di convincere il tipo sfoggiando quanta più innocenza da biondina possibile, ma ovviamente so che è inutile.
-Signorina Onoway- sospira il mio interlocutore -L' appuntamento è alle 9 in punto, adesso sono le 8:40, si metta qualcosa in fretta, si potrà preparare in macchina.
Il tono di gentilezza in quell'ultima frase è quasi sparito del tutto: pronuncia quelle indicazioni un po' troppo come se fossero degli ordini.
-Ok scendo subito- concludo sussurrando e riattaccando in fretta.
-Beh, non ho scelta- mi rivolgo al citofono, ho sempre avuto l'abitudine di parlare con gli oggetti esternando i miei pensieri.
Ritorno velocemente in camera e tiro fuori dal mio enorme guardaroba dei semplici jeans aderenti e una camicetta verde militare e mi dirigo in bagno sentendo ad ogni passo la stanchezza che ritorna, come se mi inseguisse, strisciando, dopo esser evasa dalle calde coperte del letto.
Mi guardo allo specchio mentre mi faccio una crocchia a caso: una biondina, con la pelle leggermente abbronzata e gli occhi azzurro chiari, mi squadra sconcertata, quasi mi rimprovera per non essermi ancora ribellata alle pazzie di mia madre.
Le faccio una linguaccia e giro i tacchi incamminandomi verso la porta d'ingresso.
Nell' ampio atrio di "L.A. Lifestyle", il nome del condominio di lusso in cui vivo, c'è già l'autista che mi aspetta con un certo nervosismo: è piuttosto magro e il completo elegante nero che indossa, gli sta palesemente largo; nonostante sia abbastanza giovane, ha la testa parzialmente calva e dal colletto della giacca del completo si intravede la sua gola con un pomo d'Adamo non indifferente.
Quando mi rendo conto di non averlo mai visto, mi fermo quasi involontariamente, ma lui m'incalza con un gesto della mano vagamente minaccioso.
-Andiamo, siamo in enorme ritardo.- Mi avverte subito, senza neanche lasciarmi il tempo di raggiungerlo del tutto.
In silenzio lo seguo senza riuscire a togliermi dalla testa un cattivo presentimento. Giù, nel grosso parcheggio sotterraneo, attende una limousine nera con il motore già acceso è un altro tipo al volante che fuma un sigaro con lo stesso completo nero
Corrugo la fronte e guardo stranita l'ometto al mio fianco
-Da quanto ho capito era lei l'autista- chiedo chiarimenti.
Lui mi guarda con disprezzo e inaspettatamente mi strattona per il braccio costringendomi di prendere posto sui sedili in pelle che in altre circostanze avrei trovato comodi.
-hey, piano- cerco di protestare.
Ma lui mi ha già sbattuto la portiera pesante portiera in faccia.
Il "vero autista" ride espellendo dal naso una grossa nube di fumo dall'odore acre e parte a tutto gas sfrecciando sull'asfalto liscio del garage.
Sono in trappola.
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L'ira di Apollo
Fanfic-- Fanfiction ambientata nell'universo di Percy Jackson & Shadohunters -- La figlia più amata di Apollo è stata rapita e il dio scatena la sua furia su tutto il genere umano con un virus letale. Ma la discendenza divina non è l'unica a risentire di...