"Preparati, ti passo a prendere" mi rispose.
Fu così che passai almeno dieci minuti a scegliere cosa mettere e mi scoprii a pensare cosa gli sarebbe piaciuto di più, cosa mi stava meglio. Ma Marco diceva che ero bella anche solo in pigiama e sicuramente quella non era un'opzione. Alla fine optai per qualcosa di casual, una tuta a maniche corte che terminava con un pantaloncino di colore beige, sul busto era come una camicia e per questo possedeva dei bottoni. Resi i miei capelli mossi ed evitai il trucco. Mi sentii abbastanza sciocca nel voler apparire bella agli occhi di Marco, io che non mi preoccupavo di sporcarmi il mento con un panino pieno di salse quando eravamo insieme.
In quei giorni avevo fantasticato inevitabilmente come sarebbe stare con lui. Ci immaginavo mano per la mano, a litigare davanti a una cassa, la mia testa sulla sua spalla al cinema, a fare discorsi troppo difficili per due adolescenti nel buio della mia camera, nel parco con lui appoggiato su di me e io che gli accarezzavo i capelli, a sfiorarci le dita sotto al tavolo durante un pranzo della domenica, al McDonald's ad ordinare l'impossibile, sugli spalti a tifare per lui e saltargli addosso alla fine di una partita, di notte a guardarci negli occhi e confessare le nostre paure e vecchi ricordi tristi..E mi accorsi che noi lo facevamo già. Per la prima volta da quando ci conoscevamo, misi in dubbio la nostra amicizia. C'era davvero sempre stato qualcosa di più o qualcosa all'improvviso era cambiata? Ci conoscemmo all'asilo: lui passava tanto tempo da solo a disegnare così mi avvicinai per proporrergli di giocare con me, prima con le macchinine che avevo portato da casa e dopo a moglie e marito. Mia madre mi confessò un paio di anni dopo che lo trovavo il bambino più carino della classe e per questo gli avevo proposto quel gioco, soprattutto, non mancava mai che quando Marco venisse a cena ricordava gli imbarazzanti pensieri espressi ad alta voce che facevo da piccola. Poi alle elementari capitammo di nuovo in classe insieme, le nostre mamme si erano inevitabilmente conosciute e volevano che la nostra amicizia continuasse, lì sapevo per certo di averlo aiutato ad imparare a leggere e che passavamo la maggior parte del tempo da soli durante l'intervallo per giocare con i lego: entrambi all'inizio non ci eravamo integrati, ma una volta che stringemmo altre amicizie comunque non c'era un giorno in cui non stavamo l'uno accanto all'altro a parlare e scambiare pezzi. E alle medie mi aveva difesa dalle prese in giro, facevamo la strada insieme sia all'andata che al ritorno da scuola e fu il periodo in cui ci avvicinammo di più e scoprimmo di avere entrambi una spalla su cui piangere: forse per le cose che ci successero e i normali pensieri scombussolati che fanno gli adolescenti, parlammo dei nostri sentimenti e la nostra amicizia si evolse. Fu durante quegli anni che Marco mi portò al parco, sotto l'albero grande vicino al laghetto delle papere, quello che sarebbe stato il nostro posto successivamente; era il periodo in cui i miei stavano divorziando e quella mattina avevano litigato pesantemente, così quando scesi e lui mi vide in lacrime mi sorrise, prendendomi per mano e dicendomi che avremmo saltato scuola. Non sapevo come stessi quando papà ha lasciato mamma, mi annullai completamente. E Marco era lì. Mi ha aspettato molte volte quando mi allontanavo, sotto il mio palazzo con la testa tra le mani, sorridendomi bonariamente e aprendomi la porta. Ha curato ogni ferita causata dalle loro urla. E io ho baciato le sue guance quando piangeva per la perdita della nonna. Ero lì. Noi c'eravamo sempre stati.
Io e te. Una via di mezzo. Due petali caduti dallo stesso fiore.
Era lì. Era sempre stato lì. Quando non volevo tornare a casa, quando il mio mondo stava cadendo a pezzi, quando sbagliavo in continuazione e non avevo la forza di rimediare. Era lì, mi portava al parco e fingeva che fosse tutto un gioco, spacciando quei pezzetti come un puzzle da completare, aiutandomi con le parole e cercando una soluzione.
Qui.
E non mi importa se mi ci vorrà del tempo. E nemmeno se ho paura. Perché lui continuerà ad essere qui, sorreggendomi, sussurrandomi che andrà bene. Lui sarà ancora "casa" quando la mia camera sembrerà inghiottirmi e il silenzio farmi sparire del tutto. Ci sarà ancora il suo sorriso che mi perdona quando faccio un passo indietro, sapendo che torno ogni volta. E il suo braccio mi terrà ancora appena il peso sulle mie spalle si rifarà vivo. Quando la mattina, fumando una sigaretta, non saprò chi sono lui sarà ancora qui. E non mi importa se i dubbi cercheranno di mandare tutto all'aria. Perché lo guarderò. Lo guarderò come ho sempre fatto. E mi riconoscerò.
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She just wants to feel something
De TodoPiccole storie d'amore su personaggi di film/serie tv/libri o inventati.