Ciao, io sono quella strana, quella della quale compagnia le madri hanno paura per i figli, quella etichettata ‘’cattiva ragazza’’ perché fuma erba e si mette i jeans strappati, quella di cui tutti hanno dimenticato il nome a furia di chiamarla ‘’quella là’’, ma voglio che voi mi conosceste con il mio vero nome, Ermione, e no, non sono quella troietta di Harry Potter. Ho 17 anni, frequento il liceo classico; mi sono tinta i capelli da biondo a nero, ho gli occhi azzurri e la carnagione chiara. Non c’è molto altro da sapere su di me, eccetto magari che mia madre è morta quando ero molto piccola e da quel giorno mio papà non c’è mai, in pratica vivo con una specie di tutrice insopportabile. Mio padre è molto ricco, di conseguenza vivo in una casa grandissima, non ho neanche visto tutte le stanze, non perché non mi interessino, ma mi è stato vietato: erano le camere preferite di mia mamma e mio papà, Paolo, non vuole ricordarla perché non vuole soffrire, ma io so che non la amava più da un pezzo. Da quando è morta è cambiato; prima la sera mi rimboccava le coperte e mi leggeva una storia, poi si è rinchiuso in se stesso, parla a stento, non sorride mai, l’unica cosa che fa è lavorare, non festeggiamo né il Natale, né la Pasqua e l’ultimo compleanno festeggiato fu il mio dei cinque anni, un giorno prima della sua morte.
È sabato sera, o meglio, le cinque del mattino, e sono appena tornata a casa, scavalcando il cancello ed entrando dalla finestra come al solito. Sono ancora fatta e non riesco a dormire, completamente inconsapevole inizio a girovagare per casa e decido di entrare in una delle stanze ‘’proibite’’. Apro la porta, un profumo invade il mio naso, un profumo che avevo ormai dimenticato, il Suo profumo. Tutti i mobili erano coperti da un telo bianco, ricoperto a sua volta da un velo di polvere grigia. Uscii ed entrai nella seconda delle tre. Ancora quel profumo. Qui i mobili non sono coperti, quindi mi siedo su una poltrona. Dietro di me ci sono le tende, puzzano di abbandonato; mi alzo e mi dirigo verso un comodino, apro i cassetti, era pieno di gioielli bellissimi, gli uni d’oro, gli altri d’argento altri invece ricoperti di diamanti o pietre preziose; aperto l’ultimo cassetto vidi, in mezzo a tutto il resto, un sacchettino in velluto rosso, lo presi. Dentro c’era una collana semplice, con un filo sottile e come ciondolo una chiave neanche troppo elaborata, la misi subito; mi accorsi che nel sacchetto c’era anche qualcos’altro, era una lettera.
‘’Ermione, questa è per te. Cerca nei ricordi e nei sogni di quando eri bambina. Ti ricordi che ti dicevo che eri una principessa? Beh, se stai leggendo questa lettera vuol dire che sei diventata regina. ‘’
Firmato, Lucia.
Uscii immediatamente dalla stanza, lasciando il sacchetto con la lettera sul comodino. Stavo per entrare nella terza stanza quando incrociai la mia tutrice.
‘’che ci fai sveglia? Sono le sei’’ ah, è già passata un’ora?
‘’non riesco a dormire’’
‘’e che ci fai qui, non ci puoi entrare nelle camere proibite’’
‘’non lo ho fatto in tutti questi anni, per favore, non mi disturbi più su questo argomento’’
‘’non usare questo tono con me signorina’’
‘’a me è parso di essere cortese, ma se preferisce posso mandarla a fanculo direttamente’’
‘’vai in camera tua! Subito!”
Me ne andai, tanto è inutile discutere con quella.Passarono dieci giorni, mi arrivò una telefonata, ero appena uscita da scuola.
‘’pronto, chi è?”
‘’siamo della compagnia aerea che gestiva anche il jet privato di suo padre, siamo molto tristi di comunicarle che l’aereo è precipitato e suo padre non ce l’ha fatta’’
‘’ah’’
‘’ah?” erano scioccati dalla mia risposta piatta, che non traspariva dolore o qualsiasi emozione… ma infondo era quello che mio padre mi aveva dimostrato in tutti questi anni. Quando avevo bisogno non c’era, non che lo fosse in qualche altro momento. In me non vedeva una figlia, ma i consumi della mia carta di credito. Ma la colpa non è sua, sono io che sono una figlia orribile; andiamo, che ci sarebbe di buono in me? Eccetto i voti e qualche poesia da depressa non porto a termine niente. È completamente comprensibile che nessuno sia mai stato fiero di me, neanche io di me stessa.
‘’dove si trova adesso?”
‘’lo stanno mandando nell’ospedale della sua città, verso le cinque del pomeriggio sarà sicuramente lì’’
‘’grazie mille’’
Dentro mi sento a pezzi, perché per quanto mi abbia fatto soffrire è comunque sangue del mio sangue, ma ormai non sono più abituata a esternare i miei sentimenti, così la maggior parte delle persone mi reputa superficiale, maleducata e scrocchiasoldidelpaparino. Alle cinque andai a visitarlo, piansi, piansi tanto. Pochi giorni dopo si tenne il funerale e successivamente firmai le carte dell’eredità, wow, adesso sono milionaria. Mi diedero il permesso di auto-tutela o come si dice, anche se non sono maggiorenne e, visto che so lavare e cucinare meglio di lei, licenziai subito la mia tutrice.
Mi sono appena svegliata, sono le tre di notte e ho gli occhi bagnati; ho sognato mia madre, era bellissima ed emanava una luce pazzesca, come un angelo. Veniva verso di me e mi abbracciava, poi mi sussurrava nell’orecchio ‘’cerca dentro di te, dentro i tuoi sogni di bambina. Una sola goccia del suo sangue sarà quello che cerchi. Va nella terza stanza e non arrenderti, promettimelo’’ le risposi ‘’te lo prometto, mamma’’ e lei ‘’va adesso nella terza stanza, adesso o mai più. Alla fine di tutto torneremo insieme’’ poi scomparve, io urlavo ancora il suo nome quando mi svegliai di soprassalto. Un freddo terribile mi invade le membra adesso, quando prima ero cullata in un calore che solo l’abbraccio di una madre può dare. È stato un sogno, ma mi è sembrato così reale; talmente reale che adesso andrò veramente nella terza stanza. Salii le scale fino ad arrivare all’ultimo piano, questa stanza, per quanto mi ricordo, è più grande delle altre, era la sua camera da letto. Entrai, rimasi sbalordita: sebbene non ci entrasse nessuno da undici anni, non c’era un filo di polvere e dalle finestre spalancate entrava una scia di luce lunare che illuminava la stanza quasi a giorno, anche se da fuori vedevo sempre le scure chiuse. Iniziai a pensare che magari quel sogno non era stato solo un ‘’sogno’’: non ero fatta o ubriaca, quella era la realtà. Mi sedetti sul letto, assorta nei pochi ricordi che avevo di mia madre; passavo le mani sulla coperta e sul cuscino quando mi accorsi della chiave, ancora appesa al mio petto, ma che adesso era diventata calda, anche se la mia pelle era fredda. Mi alzai e la tolsi dal mio collo, era come se da qualche parte davanti a me c’era una calamita che la attirava, ma io vedevo solo una tenda di colore rosso. Mi avvicinai e la chiave diventava sempre più calda, scostai la tenda e inizialmente non vidi niente, ma poi, quando mi scostai un poco, il raggio di luna si concentrò in un punto sulla parete, dove scorsi una serratura.
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Persa in me stessa
General Fictionquesta è una storia dedicata a chi si sente solo. A chi ha paura di non essere abbastanza. A chi ha così tanti problemi, anche abbastanza seri, da perdersi in essi, da perdersi in se stessi. Una storia scritta da una adolescente per altri adolescent...