Inserii la chiave che divenne bollente, e facevo fatica a toccarla; ci entrava perfettamente, girai la chiave e comparve la sagoma di una porta, a giudicare dal peso era di legno, ma non capivo prima come non fossi riuscita a scorgere nulla sulla parete… mi sento dentro che sto per diventare il protagonista di qualcosa di speciale, vorrei rimanere alla mia vita di sempre, ma c’è una forza ancora maggiore di quella che attira la chiave che attira me. Non aprii la porta; rimasi a riflettere se aprirla o no, come se fosse un addio. Pensai a cosa mi legava a questo mondo, e, in effetti, non c’era niente: i miei genitori erano morti, non avevo ne sorelle o fratelli o un qualsiasi tipo di parente, non avevo amici, non avevo un fidanzato, avevo solo la mia erba e la mia lametta… sì, mi taglio. Non sto a spiegarvi il perché, vi basta rileggere le ultime tre righe; non so, mi fa stare meglio: è come quando ti dai un pizzicotto perché ti fa male qualcos’altro per non sentire il dolore, solo che nel mio caso ‘’l’altra cosa’’ è l’anima, quindi un pizzicotto non basta. I miei occhi tornarono sulla porta, e le mie dita, senza che il mio cervello avesse loro comandato di farlo, aprirono la porta. Mi immaginavo qualcosa di straordinario, invece era buio pesto. Mi alzai in piedi ed in mezzo secondo si accesero tantissime torce che, con la loro fiamma, illuminarono delle ripide scale che andavano verso il basso. Posai il mio piede sul primo scalino, l’altro sul secondo, poi mi fermai, non pensavo a niente, stavo soltanto lì, ferma. D’un tratto una frenesia invase le mie membra ed iniziai a discendere le scale correndo, inciampando come se qualcuno mi seguisse, ed in effetti mi seguiva una cosa: il pensiero di tornare indietro. Continuai a correre e giunsi alla fine della rampa; davanti a me c’era una galleria, non era più illuminata dalle torce, bensì sembrava quasi che splendesse di una fioca luce propria, non gialla, ma come quella che c’è in una giornata di primavera, in un bosco, quando ha appeno smesso di piovere ed è spuntato il sole; una luce di un colore misto tra verde, azzurro, rosa e bianco. Avanzando per il tunnel la luce si fece sempre più intensa, finché giunsi in una stanza a base circolare, con il soffitto a volta. La luce era diventata una cosa quasi insopportabile e, quando mi abituai, scorsi che le pareti erano ricoperte di rose rampicanti di color rosa; nell’aria c’era un luccichio argentato e sembrava giorno, benché fuori fosse ancora notte. Sul pavimento affrescato, si distaccavano dagli altri disegni dalle tonalità calde alcune ‘’rocce’’ dipinte, disposte a spirale e di colore grigio freddo. Posai entrambi i miei piedi sul primo e poi sul secondo e così via. Arrivai all’ultima, ero al centro della stanza e, nel secondo in cui appoggiai il secondo piede sulla roccia, sprofondai nel terreno. Continuavo a cadere, ma intorno a me non sentivo pareti, era buio pesto. Iniziai a rallentare, poi una brezza che si muoveva perpendicolarmente a me, non so più dirvi in che direzione: ho completamente perso ogni orientamento, mi trascinò con sé. Mi sentivo come una piuma trasportata dal vento, solo che io andavo a una velocità decisamente più veloce. La corrente d’aria che mi trasportava, dopo parecchio tempo, cessò di botto e io caddi; mi ricordo soltanto di aver picchiato leggermente la testa, dopo alcuni secondi di vuoto, ma non mi ero fatta alcun male. Credo di essermi addormentata a quel punto, nel buio più pesto, ma non avevo paura.
Mi svegliai, ero nel mezzo di una radura, sembrava infinita: non ne riuscivo a scorgere i limiti. Un brivido percorse la mia schiena, avevo addosso soltanto una t-shirt di mio papà e, sotto le prime luci dell’alba, faceva un freddo tremendo. Mi alzai. Dove sono? Fu la prima domanda a balenarmi nella mente. Non riuscivo a scorgere niente, eccetto erba. Non c’era anima viva, neanche un uccello nel cielo colorato di rosa dal sole nascente. Cosa faccio adesso? Fu la seconda domanda che mi tormentò. Boh. Iniziai a camminare, verso est, verso il sole. Passo dopo passo, metro dopo metro, ora dopo ora, vidi in lontananza una linea verde scuro-marrone, ma non riuscivo a distinguere cosa fosse dato era alta circa quanto una formica. In un certo senso mi rincuorò, quindi iniziai a camminare più velocemente. Erano le quattro del pomeriggio circa secondo il sole e la ‘’linea’’ ora aveva preso le sembianze del limitare di una foresta. Mi sedetti un attimo e, stravolta com’ero, mi addormentai. Mi svegliai di soprassalto, qualcosa mi aveva scosso! Mi voltai e c’era un ragazzo, capelli neri e occhi azzurri, con la linea del contorno dell’iride scurissima e l’interno erano chiarissimi; era bellissimo, ma il fisico era difficile da descrivere perché vestiva strani abiti larghi: una camicia candida sotto un gilet azzurro, dei pantaloni sempre sul blu che arrivavano a mezzo polpaccio ed era scalzo, ma comunque si intravedeva il fisico slanciato e muscoloso.
‘’chi sei?” chiesi intimorita
‘’Ramiro, ma non posso svelarti chi sono per il momento. Lei chi è?” perché mi sta dando del lei? Abbiamo la stessa età…
‘’io mi chiamo Ermione. Dove siamo?”
‘’come dove siamo? Siamo a Lendor, il grande impero che domina tutto il mondo fermo’’
‘’Lendor?” sono brava in geografia, ma non conosco nessun “grande impero” che si chiama Lendor…
‘’scusa ma da dove viene?”
‘’vengo da un certo pianeta chiamato terra e abito a Londra…”
“Terra? Pianeta? Londra?”
‘’rimandiamo questa conversazione, è un giorno che non ho riparo e non mangio”
‘’ah mi perdoni, la porto subito a casa mia’’
‘’grazie’’
Lui si alzò e in mezzo secondo non lo vidi più, poi ricomparse.
‘’allora? Vuole venire o no?”
‘’ma… ma… io… come fa ad andare così veloce?”
‘’ahhhh! Adesso comprendo ogni cosa! Lei è venuta da un altro mondo! Venga, la prendo in braccio, faremo più in fretta’’
Mi prese in braccio e, senza che io dicessi niente, in mezzo secondo mi ritrovai con il terreno sfrecciarmi accanto e il vento che mi fendeva il viso così violentemente che dovetti chiudere gli occhi. Dove diavolo sono? Un altro mondo?! Dopo pochi minuti si fermò e mi depose in terra, eravamo giunti all’inizio della foresta circa, quando io ci avevo messo un giorno quasi per fare un quarto della strada…
‘’eccoci, seguimi, non è lontana da qui’’
‘’ok’’
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Persa in me stessa
General Fictionquesta è una storia dedicata a chi si sente solo. A chi ha paura di non essere abbastanza. A chi ha così tanti problemi, anche abbastanza seri, da perdersi in essi, da perdersi in se stessi. Una storia scritta da una adolescente per altri adolescent...