5. «Ho combinato un casino.»

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Claire

Luci soffuse che mi scavavano dentro, illuminando l'oscurità della mia anima messa a nudo sotto lo sguardo complice del mio amico. Alcune ciocche mi cadevano sul viso, oscurandomi la vista per qualche istante. Pupille contornate dalla tristezza di sempre e occhiaie che macchiavano i miei occhi, un tempo illuminati da quel filo d'ingenuità che li contraddistingueva.

La voce interiore della mia anima mi ripeteva di godermi ogni giorno perché sarebbe potuto essere l'ultimo, ma non potevo accontentarmi della solita e banale felicità, quella serenità fasulla che mi illudeva di tenere tutto sotto controllo ma che al medesimo tempo non mi riempiva il cuore, non mi faceva provare emozioni ma solo chimere che desideravo afferrare con forza per farle mie.

Odiavo sentire quella sensazione pesante nel mio petto tanto quanto non riuscivo a mandare giù quel passato che aveva decretato il mio fallimento più grande. Non importava quanto io avessi tentato di cambiare strada verso una via più semplice, non riuscivo a farmene una ragione. Mi capitava di svegliarmi di notte, osservare il soffitto della stanza e chiedermi quale fosse il mio obiettivo nel mondo perché io non ne avevo più uno.

Conducevo una vita che apparteneva ad un'estranea che aveva preso le redini di quel destino che tanto disprezzavo. Un presente decorato da scanalature di sensi di colpe che si scontravano nella mia anima, come linee incidentali.

Detenevo la mano sulla spalla del mio amico, lasciandomi condurre verso la via del peccato. Avevo accolto la sua idea, la sua folle proposta di abbandonare la monotonia che mi abbracciava ogni sera per lasciarmi andare, rimuovendo quello strato di nostalgia che mi accompagnava nel letto, facendomi sognare una realtà che fosse all'altezza delle mie speranze.

I fallimenti che mi avevano sbarrato la strada verso i miei obiettivi si erano rivelati pesanti da rimuovere tanto da intralciare un grande pezzo della mia vita.

«Stai bene?» Chiese il mio amico, abbozzando un sorriso. La sua camicia bianca era messa in risalto dalla luce gialla che si abbatteva sul suo petto, lasciando intravedere i piccoli tatuaggi che decoravano la sua pelle liscia e bianca quanto la neve.

Annuendo, mi limitai ad esporre tramite un semplice cenno di capo ciò che in realtà stava bruciando la mia anima come fogli di carta che si polverizzano sotto il potere di quella fiamma cocente.

Sentivo il suo sguardo inquieto fissare le mie labbra in attesa che vomitassi parole che contenevano la verità che stavo celando dietro un silenzio ingannevole.

Sedendomi sullo sgabello che affacciava sul bar, contenente grandi vastità d'alcol, appoggiai le mie mani su quell'enorme tavolo in marmo, avvertendo violentemente il contatto con quella superficie fredda quanto le temperature gelide che stavano corrodendo il mio petto.

«Che vuoi da bere, bimba?» Chiese dolcemente Andrew, abbozzando un sorriso e accarezzando dolcemente la mia pelle scoperta.

«Nulla,» risposi, sospirando e mettendo il muso. «Domani ho tirocinio, è meglio che io rimanga lucida,» aggiunsi, ridacchiando.

«Solo un bicchiere, dai,» tentò di convincermi, facendomi un occhiolino e sorridendo sornione.

«Sei diabolico,» ridacchiai, scuotendo la testa.

Riusciva sempre a convincermi in un modo o nell'altro perché sapeva che non sarei mai riuscita a dirgli di no. Un potere che io stessa gli avevo conferito nell'esatto momento in cui era entrato nella mia vita, abbattendo quella corazza che tendevo ad innalzare per difendermi da occhi indiscreti.

Brezza MarinaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora