Capitolo 7

7 0 0
                                    

«Ehi Elettra, non pensavo di vederti qui!»
Giorgio era lì, con il suo solito sorriso sbilenco e gli occhi socchiusi. Era già ubriaco, non c'erano dubbi.
Deglutì, cercando di ignorare il nodo che si era venuto a formare della mia gola.
Mi sembrava che tutto si fosse bloccato.
«Ehi Gio... Anche per me è una sorpresa. Ma quando sei arrivato?». La mia voce risultò gutturale, come se stessi cercando di gracchiare. Mi sentì così stupida, a disagio.
«Alle nove, circa. Anche se ho accompagnare questa scema a casa che aveva scordato i documenti»
Mi fece cenno con il pollice alle sue spalle. Sara era lì, con i suoi capelli a caschetto, il suo piccolo ma elegante neo che spiccava sullo zigomo destro e i suoi occhi sporgenti che mi osservavano dall'alto del suo metro e settanta.
«Piacere, sono Sara mentre tu sei...»
Sapevo benissimo chi fosse lei, era da due mesi che non facevo altro che informarmi sul suo conto e da ciò che avevo scoperto, dai suoi social e da quello che si diceva in giro su di lei, sapevo bene che era una splendida persona: dolce, timida, riservata e gentile.
E questo non mi aiutava ad accettare la loro relazione, anzi.
Per di più non sapeva manco chi fossi. Lui non aveva mai fatto accenno a me.
Mi aspettavo, ovviamente, che Giorgio avesse deciso di tenere il nostro rapporto di scopamicizia ben nascosto, forse per imbarazzo o per evitare gelosie inutili, però fu come ricevere uno schiaffo in pieno volto.

«Elettra. Mi chiamo Elettra, piacere.»
Il mio tono di voce ora era flebile, incerto. Mi sembrava di non riuscire a respirare.
Le tesi la mano in segno di saluto.
«Ehi ma tu tremi!» esclamò Sara «Sicura di stare bene?»
«C-certo» balbettai «è che ho solo bevuto troppo e queste sono le conseguenze. Non preoccuparti»
Giorgio le afferrò le spalle «Sara, vieni, ci sono delle persone che vorrei presentarti» poi si voltò verso di me, con un viso che esprimeva una felicità che pareva sincera: «Mi ha fatto piacere incontrarti e vedere che stai bene. Ci becchiamo presto in giro El!»
Poi si voltò, prese la mano di Sara e sparirono sulla terrazza del locale.

"Non respiro. Perché non respiro?
Che domanda del cazzo Elettra, sai benissimo il perché"
Attorno a me la stanza lentamente prese a girare, i suoni risultavano ovattati e i miei movimenti erano come rallentati
«Io... Io devo... Uscire». Le mie parole non suonarono tranquille come speravo.
Fede mi prese la mano e me la strinse, mentre, con dolcezza, mi trascinava verso l'uscita. Mi voltai a guardarla.
Il suo sorriso tirato e i suoi movimenti decisi non riuscirono a nascondere la sua paura, l'angoscia di dover gestire una situazione che non conosceva.
E la cosa mi destabilizzò ulteriormente.

Appena uscimmo dal locale, tutto mi parve confuso.
Mi sembrava di star trattenendo il respiro da ore ma, quando aprì la bocca per riempire i polmoni di ossigeno, non riuscì a fare nulla.
"Non la dispnea. Non ora"
Il senso di soffocamento durò per una frazione di secondo, che a me sembrò durare un'eternità, poi, con tutte le forze che avevo in corpo, mi tappai il naso e, finalmente, riuscì a inspirare dalla bocca.

Inspira, espira.
Inspira, espira.
Inspira, espira.

Mi accasciai a terra.
Non sentivo più le gambe.
Le vedevo, rispondevano ai miei comandi ma non sentivo alcun tipo di sensibilità.
Ricordai cosa mi disse il mio psicologo, dopo che gli parlai della prima volta che mi successe la stessa cosa: "Elettra, soffri di attacchi di panico. La mancata sensibilità degli arti periferici è una causa dell'iperventilazione: il sangue si allontana dalle gambe e dalle braccia per convogliare al cervello e ossigenarlo. Quando e se ti riaccadrà ricorda di controllare e rallentare la respirazione."
Chiusi gli occhi.
Avrei voluto rassicurare Fede ma ero troppo concentrata a riprendere il controllo del mio corpo e del mio cervello per poter confortare qualcun altro.

Inspira.
Espira.
Inspira.
Espira.

Sentì lentamente che il mio corpo stava tornando ad una parvenza di normalità.
Riaprì gli occhi.
Davanti a me non c'era più solo Federica. Simone era in ginocchio, al mio fianco mentre Diego in piedi, con la mia borsa in mano, passeggiava nervosamente in cerchio.

«Elettra? Elettra, ci sei? Stai bene?»
Federica mi scrutava attentamente, passando al vaglio ogni centimetro del mio viso, in cerca di segnali che potessero preannunciare una ricaduta.
«Perché sono così sostituibile? Perché non sono mai abbastanza?
Io sono così dipendente dalle persone che quando loro riescono ad allontanarmi sono libere, trovano una felicità genuina. Perché avveleno ogni cosa?»
Non mi resi conto del tono di voce, finché non mi guardai intorno.
Gran parte delle persone della piazza si girò a fissarci ed io mi sentì morire.

Guardai Simo.
Avevo gli occhi colmi di lacrime, non riuscivo a fermare quella cascata che mi scivolava senza sosta sul viso.
«S-Simo... Chiama mia mamma... Voglio andare a casa, ti prego»
Mi sentì stupida ad aver usato un tono e delle parole così infantili ma non avevo le forze per giustificarmi, o per dare una diversa immagine di me.
Non aspettai nemmeno una risposta.
Chiusi gli occhi, mi portai le gambe al petto e iniziai a dondolare, con un ritmo lento e ben scandito.
"Brava Elettra. Sei e sarai sempre un fastidioso parassita."

Hai finito le parti pubblicate.

⏰ Ultimo aggiornamento: Jan 07, 2022 ⏰

Aggiungi questa storia alla tua Biblioteca per ricevere una notifica quando verrà pubblicata la prossima parte!

Ritorni.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora