L'unico sollievo

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Il coprifuoco era scattato da un paio d'ore quando, dopo aver sparecchiato e lavato i piatti della cena, assicuratasi che i genitori fossero a letto e in accordo con la sorella, uscì di casa dalla finestra della sua camera.

Nel corso degli anni aveva avuto il tempo di studiare e costruire una scaletta arrangiata con pioli di legno attaccati al muro esterno della sua camera per poter arrivare sul tetto della casa.

Quella, tuttavia, era un'opzione da utilizzare in extremis. Era scomodo proseguire di balcone in balcone nonostante il complesso di abitazioni ravvicinate caratteristico del suo quartiere consentiva questo tipo di spostamenti senza troppi rischi.

Preferiva calarsi a terra sul retro della casa e attraversare la recinzione che una volta separava i binari della ferrovia dal suo giardino.

Erano anni che la circolazione dei mezzi era limitata a poche fasce orarie. Tutto ciò che ormai consumava quelle rotaie erano treni merci e carichi di lavoratori muniti di guanti, mascherine e occhiali protettivi. Da quando non si vedeva in giro il viso di un estraneo? Da quanto, ormai, non era possibile scorgere il colore degli occhi o il sorriso dei ragazzi che si vedeva viaggiare?

Aprì il varco che aveva tagliato mesi prima con delle cesoie e vi si infilò assicurandosi di chiuderlo per bene dietro di sé, in modo che non fosse visibile in caso qualcuno fosse passato di lì.

Per lei era facile muoversi in quella giungla di erbacce. Le canne trascurate da anni la proteggevano alla vista dei militari, e l'eventuale rumore prodotto dai suoi passi sulle foglie secche o dal cedere del terreno erano spesso associati a topi o gatti randagi in cerca di cibo.

Certo, c'era sempre il rischio che un qualche comandante in piena estasi etilica decidesse di giocare al cacciatore, ma storie del genere non si erano ancora sentite da quelle parti, e questo la rendeva un po' più tranquilla.

La situazione non era uguale in tutte le zone del Paese. Erano tantissimi i luoghi presidiati da uomini violenti che amavano esercitare le loro perversioni protetti dall'uniforme, ma per fortuna in qualche caso era ancora possibile trovare l'umanità di chi stava semplicemente facendo il suo lavoro cercando, almeno così gli veniva detto, di proteggere la popolazione dai rischi di contagio.

Continuò a camminare badando bene a non inciampare o cadere: sarebbe stato difficile e rischioso dover spiegare, in pronto soccorso, come si fosse procurata tagli o ossa rotte stando in casa.

Dopo poco più di un'ora di cammino si fermò a guardare il cielo.

Ricordava ancora quando quell'azione le serviva per orientarsi: aveva avuto tutto il tempo di imparare a farlo tra libri letti, informazioni reperite su internet e un minimo di pratica iniziale.

Ora non ne aveva più bisogno, percorreva quella strada infestata di ragnatele e insetti pungenti nascosti tra le fronde una volta al mese da tanto, troppo tempo. Il fascino, però, che esercitavano la luna e le stelle su di lei non era mai cambiato.

Ogni volta che alzava il naso verso il cielo sentiva qualcosa dentro. Qualcosa in grado di lenire almeno temporaneamente l'oppressione con cui doveva convivere quotidianamente. Un dolce tepore che le scaldava il cuore: Speranza.

Ma tornò alla realtà.

Capì di esserci quasi. Un paio di deviazioni, ancora qualche minuto di camminata e arrivò.

Come di consueto si assicurò, sbirciando dalla rete e nascosta dalle piante, che non ci fosse nessuno e fece partire la chiamata.

Dopo un paio di squilli cadde la linea. Rimise in fretta il cellulare intasca per evitare che la luce dello schermo attirasse delle attenzioni indesiderate e aspettò.

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