Capitolo 2

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"A volte penso di essere un sogno che qualcuno si è dimenticato di fare, un nastro scordato annodato sul letto che, da solo, non sa sciogliere questo nodo." Aldo Busi

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Un anno prima

"Ehi, bellezza, portami un Long-Island", starnazza un uomo di mezza età, che indossa un completo di Dior da almeno duemila dollari.

Lavoro in questa sottospecie di night, camuffato da bar, da soli quattro giorni e sto già rischiando di impazzire, o peggio, di prendere a pugni qualcuno. Lo Chic and Shine non è esattamente il posto dove sognavo di far carriera, ma pagano bene; a parte dover indossare una divisa striminzita, composta da shorts al limite della decenza e una camicetta così aderente che i bottoncini sul mio dècollettè potrebbero esplodere da un momento all'altro, diciamo che potrei anche cavarmela. Il lavoro sporco tocca alle ragazze seminude che ballano sui vari cubi posti in tutto locale; in via teorica, noi cameriere dovremmo limitarci a servire ai tavoli, anche se agghindate in modo abbastanza indecente, peccato che, ad alcuni clienti, soprattutto ai ricconi che pensano di poter comprare ogni cosa con la loro Carta Gold, non sia abbastanza chiaro il fatto che nessuna di noi è una escort pronta a farsi palpeggiare per una mancia cospicua.

Dopo soltanto quattro serate, ho quasi completamente perso la considerazione per il genere maschile. Ho dovuto rifiutare così tante proposte inenarrabili e una tale quantità di mani che, con una nonchalance assurda, provavano a tastare il mio sedere, che temo di aver perso il conto di quante volte ho pronunciato la parola 'no'.

Se non avessi così bisogno di soldi, col cavolo che restere qui!

C'è il pienone stasera e non ho nemmeno il tempo di respirare, senza contare che, a forza di correre da un tavolo a un altro, i miei poveri piedi, stipati in queste scarpe tacco dodici, sono in fiamme. Mi dirigo al bancone e consegno a Jessica, la barista, le comande dei miei tavoli, che, come se non avessi già abbastanza da fare, mi carica di ulteriori ordinazioni; Kim, una delle mie colleghe, è uscita per una sigaretta, perciò devo sostituirla per una decina di minuti. Se fumare comporta potersi prendere una pausa ogni due ore, credo che comincerò presto anche io!

Con il vassoio stra colmo, raggiungo il sette, uno di tavoli di Kim; deposito un Whisky doppio, due Cubalibre, una Corona con limone e tre Martini Dry, davanti a un gruppo di ragazzi sulla ventina, stravaccati sui divanetti in pelle beige, che hanno tutto l'aspetto di divertirsi da matti. Beati loro!

"Grazie." Una voce suadente e profonda attira la mia attenzione.

Mi volto alla mia destra e incrocio lo sguardo di un ragazzo dai capelli scuri, con degli occhi magnetici e così chiari da apparire brillanti perfino in un luogo buio come questo. Lo sconosciuto mi guarda così intensamente da mettermi quasi a disagio, un disagio piacevole, però. Non mi soffermo mai a osservare i clienti, non ne ho nè il tempo nè la voglia, ma con lui mi chiedo come abbia potuto non notarlo prima. Oltre a essere decisamente un bel tipo, il particolare che lo rende così speciale è la sua pelle completamente tappezzata di tatuaggi; le mani, le braccia, lasciate scoperte da una T-shirt nera, il collo, ogni centimetro visibile, a parte il viso, è colorato dall'inchiostro.

Improvvisamente, la piccola scritta 'Born this way' che porto sul polso sinistro, e per cui i miei genitori mi hanno quasi buttata fuori di casa quando avevo diciannove anni, mi sembra un nonnulla.

Resto a guardare lo sconosciuto per qualche secondo di troppo, ammaliata da tutti quei disegni, che gli danno un'aria da bello e dannato, in netto contrasto con la sua espressione gentile, finchè l'imbecille griffato che mi ha ordinato un Long-Island non mi chiama, spezzando questo gioco di sguardi surreale.

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