Capitolo 23

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"E d’un tratto essere senza cuore ti è parso meglio che avere un cuore che ti teneva sveglia a ogni ora della notte, e chiudersi in un guscio era meglio che prendersi in faccia il vento dell'amore." Fabrizio Caramagna

***

Wendy

Il pubblico applaude e io non riesco a staccare gli occhi da Ian. Mi sento la povera disgraziata di un'opera lirica, che muore sul palco, vinta e annientata da un amore impossibile.

Io sto morendo dentro e loro battono le mani davanti ai miei occhi lucidi. Vorrei ci fosse un sipario che cala, sul mio viso angosciato e sul mio cuore rotto.

Sforzo un sorriso, abbandono le luci della ribalta e cammino svelta tra questa gente che non ha la più pallida idea del fatto che il mio mondo si sta sgretolando.

Raggiungo l'uscita, in cerca d'ossigeno e sento Ian seguirmi come un cane fedele che non vuole lasciare il padrone.

Dov'era la tua fedeltà quando mi hai voltato le spalle e lasciata sola in un mondo al quale non sono mai appartenuta davvero?

Una volta fuori, riprendo fiato e fisso il vicolo deserto che c'è sul retro del ristorante. Lui è qui, dietro di me e attende che dica qualcosa.

Il dolore di questi mesi risale velenoso il mio stomaco e mi riempie gli occhi di lacrime. "Ti avevo detto che volevo stare da sola, cosa ci fai qui?"

Mi volto nella sua direzione, lui sta per avvicinarsi, ma il mio sguardo severo lo blocca. "Sono venuto per te, per riportarti a casa."

Isterica, scoppio a ridere, una risata folle e graffiante. "Tu non mi riporterai da nessuna parte! Pensi che l'errore di una notte ti dia qualche diritto?"

Mi difendo come posso, provo a ferirlo per obbligarlo a lasciarmi in pace, ma non funziona. Ian mi conosce troppo bene. "Puoi chiamarlo errore o come ti pare, puoi mentire a te stessa, ma non a me. Sono io la tua casa e non ho mai smesso di esserlo."

Ha ragione e questa cosa mi fa arrabbiare. Perché non posso semplicemente voltare pagina e smetterla di sentirmi così dipendente da lui?

Lo colpisco al petto, lo spingo via, nel vano tentativo di riuscire ad allontanarlo. "Smettila di fare così, di trattarmi come se fossi ancora roba tua!"

Lui non perde la sua compostezza, non si muove, gli bastano le parole per vincere il round. "Non è così? Vuoi convincermi che non senti anche tu questo filo che ci tiene legati insieme, nonostante tutto?"

Perché sta cacciando il dito nella piaga, cosa vuole? Vuole che ammetta di aver sputato lacrime e sangue senza di lui e di non averlo mai dimenticato?

"Che cosa sei venuto a fare?" La sua espressione è ovvia, sta per darmi la stessa risposta di prima e allora lo zittisco. "Vuoi sentirti dire che penso ancora a te, che nonostante quello che mi hai fatto è te che sogno ogni notte, che non riesco a dimenticarti, è questo che vuoi?"

Invece che soddisfarlo, le mie parole rabbuiano il suo viso. "No, io voglio soltanto che tu mi ascolti."

"Mi hai già riempito una volta di belle parole, ti ho creduto e tu mi hai distrutta. Non te lo lascerò fare di nuovo." Dov'è il mio odio adesso, quello che mi ha consumata negli ultimi mesi e impedito di cercare Ian?

"Sono qui per riparare i danni." Dio, se solo sapesse quante crepe e ammaccature porto addosso, non si illuderebbe di potermi sistemare con belle parole.

Eppure non riesco a respingerlo del tutto, né ad andarmene. Una parte di me aspetta da tempo questa resa dei conti.

Chiudo gli occhi, mi infilo le mani tra i capelli, in un moto di disperazione. "Perché, Ian, a che pro? Mi hai detto che non mi amavi, che probabilmente non l'avevi mai fatto, a che serve allora continuare a farci male?"

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