《03》Quel che non mostriamo

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La porta scorrevole si spalancò facendoli passare. Il sole alto riempiva il cortile vuoto.

Il Presidente girava intorno. Si asciugava i grondoli di sudore dalla fronte con la manica.

Akira era composta e fredda dietro di lui, come sempre. Ogni tanto si sistemava la minigonna e  la leggera coda, bionda e corta.

Non riusciva a smettere di guardarlo, però. Quell' uomo, lui. Agitava le mani ancora sporche di sangue. Gocciolavano sull' asfalto e si seccavano subito.

Anche lui era impassibile, non riusciva a provare alcun sentimento in momenti come questi. Come se li avesse avuti, dei sentimenti...

Il cortile sul retro della Torre, dove loro si trovavano era chiuso, barricato, protetto e costantemente osservato affinché nessuno non autorizzato potesse entrare.

Quell' ultimo giorno dell' anno 200, l' aria era leggera. Trasportava il polline estivo e i petali dei fiori.

Uno di questi si posò ai piedi del Presidente. Lui lo guardò, si chinò a toccarlo, e poi lo spiaccico' al suolo con la scarpa.

Si sentì il rumore delle auto in lontananza. I due si guardarono,  annuirono a vicenda e si camminarono verso il centro del cortile. Li', diversi barili contenenti cariche esplosive li aspettavano.

Delle guardie alla recinzione aprirono il cancello e una serie di camion entrarono di seguito.

Akira guardò l'ora dall' orologio d'oro al polso. 12:17. Perfetto orario.

I molteplici veicoli accostarono intorno a loro.
Da ognuno di essi scesero dei soldati.
Dal primo della coda, salto giù Ado:
"Le è arrivato il regalino, Presidente?"
Esclamò Ridendo di gusto e sbavando. Poi si sgranchi' la schiena e si rivolse ai soldati: "Scaricateli, avanti!

Loro obbedirono d' istinto e, dai grossi furgoni neri, molteplici corpi vennero gettati al suolo.
Il Presidente e Akira li guardavano fare, giravano in giro, li controllavano. Sembravano degli avvoltoi.

Quando ebbero finito, i soldati si sistemarono in fila. Tutt'attorno a loro si estendevano i cadaveri.
"Quanti sono?" Chiese il Presidente ad Ado.
"Dovrebbero essercene 100, all' incirca.
"Mh.." aggrottò la fronte: " Sono perfetti. Tutti sacrificabili. Bravo Ado."
Lui arrossì lusingato:
"Mio dovere, signore." Disse inchinandosi.
Akira avanzò seccata:
"Sarà meglio che non vi abbia visto nessuno."

"Akira, rilassati. Ado ha fatto il suo meglio per servirci."
"Esatto, signor Presidente..:" Ado si morse le labbra.
Lei lo guardò scuotendo la testa: "Ma certo...muoviamoci solo."

Rientrarono tutti e tornarono al piano 100, il più alto. Nello studio del Presidente si risedettero al tavolo, proprio come prima quella mattina.

"Molto bene...da 10.211...a...10.111! Ah no, giusto...10.110. Sempre che gli anziani contino ancora..."
Akira e Ado lo osservavano intingere il pennino nell' inchiostro e scrivere con esso.

Quando ebbe finito consegnò il documento ad Akira:
"Mettilo al sicuro, sai dove."
"Certamente."
S'alzò e uscì dalla grande camera.
I due uomini si scambiarono delle occhiate.

Ado nascondeva l'erezione pulsante sotto il tavolo. Con la mano avanzava delicato accarezzandola attraverso il tessuto dei pantaloni.

Il Presidente tirò fuori dal cassetto un walkie talkie:
"Ci siamo..."

Dieci metri più in su', sul tetto, Alan teneva stretto il suo cecchino:
"Ci sono, Signore. Sono pronto." Esclamò lui dal suo walkie talkie.
Il Presidente si affacciò dalla grande vetrata che dava sul cortile. Sorrideva e si sentiva così...così...
"Deve sentirsi potente, Signore. Perché lei lo e'. Lei e' l' uomo più forte e potente che conosca..." Ado si affacciò vicino a lui  mordendosi le labbra. Il pizzichio tra le gambe si faceva sempre più intenso.
"Io sono potente. Io sono forte. Io sono qui. Loro sono lì. Cioè, erano..."

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