No. 16

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I paesi sfrecciano alla mia destra, dopo un'oretta siamo arrivati.
Sveglio lentamente Margherita e la invito a scendere.
«Dove siamo?»
Io le sorrido: «Ora vedrai.»

Ci incamminiamo.
Durante le viuzze scherziamo e ridiamo per stupidaggini.
«La riconosci?», le chiedo io a un certo punto.
«Ma certo, è Frascati.»
Mi limito a sorriderle.
Quei giorni che sono stato qui da solo, sono caduto sull'erba, lei mi ha chiesto se volessi aiuto e io l'ho trattata male, senza volerlo.
O meglio, non l'avrei fatto se avessi capito fin da subito che era lei.

Arriviamo fino a una zona e ci sediamo sulla panchina presente.
«Qui mi ci portavano sempre mia madre e mio padre da piccolo. Quando poi papà è morto, ha continuato a farlo solo mamma.
Non era la stessa cosa, ma mi bastava.
Ero felice così.»
La guardo negli occhi.
«Questa è un'area archeologica, sai?Stanno tutt'ora scavando.
Reperti vengono fuori in continuazione, roba romana o etrusca, o entrambi.»
Ridiamo.
Ha una risata da bambina.
Poi annuisce.
«A me è sempre piaciuta l'antichità.
Ero incuriosito da tutto, veramente. Pensa che al tempo volevo fare l'archeologo.»
«Poi, hai cambiato idea?», mi chiede.
«Diciamo che è una storia lunga.»
E rido nervosamente.

Margherita si alza e si avvicina un po' di più al promontorio.
«Roma dall'alto continua ad essere uno spettacolo meraviglioso.»
Vado da lei.
«Già.»
Mi prende per mano e più sorridente che mai mi dice: «Andiamo.»
«Dove?»
«Ora ti mostro il mio posto speciale.
Ma prima...»
Raccoglie una margherita selvatica e se la mette in tasca.
«Ti piacciono proprio tanto, eh?»
Dico ingenuo, ancora non capivo.
Lei annuisce.

Arrivati in piazza, Margherita nota la chiesa e si fa il segno della croce.
Sgrano gli occhi.
«Sei credente?»
«Sì. Non lo sapevi?»
La guardo con disappunto: «Come potevo saperlo?»
Cerco di non essere troppo serio e faccio un mezzo sorriso.
Lei no e dice: «Io so tutto di te.»
Poi si gira e torna a camminare.
Il tono di voce le torna cordiale: «Andiamo.»
Quanta insistenza e quella frase è stata inquietante.
Non può sapere tutto di me, non ci conosciamo da così tanto ma lascio correre.

Entriamo nella galleria: la Mondadori risplende anche a quest'ora.
La saracinesca è abbassata nella parte dell'entrata, ma da un lato è possibile scorgere alcuni libri messi in vetrina.
Se fosse stato giorno sarei entrato senza alcun dubbio, senza un'idea fissa in testa, ma sarei uscito con un libro in mano.
«Da piccola venivo spesso discriminata.
Ero spesso sola ed era già tanto se avessi una migliore amica.
Il mio problema è che non riesco ad andare oltre una conversazione.
Non so trattenere a me le persone.
E, d'altro canto, preferisco che resti così.
Tuttavia venivo principalmente categorizzata come "quella che disegna" e negli anni seguenti anche come "quella che scrive". Ma, sai, non capivano.»
Mi prende la mano.
«Che senso aveva scansarmi solo perché mi dedicavo completamente alle mie passioni?
Io preferivo la fantasia alla realtà.
La realtà spesso fa schifo, è un enorme masso che continua a schiacciarci.
Poi dipende da te.
Sei abbastanza forte da scacciarlo via?
Bene. Se non lo sei però è lui distruggerti.»
La interrompo un attimo: «Ma non sempre va in un modo o nell'altro.»
Lei mi guarda seria: «Lele, io non lo ero.
Non ero abbastanza forte, non lo sono e mai lo sarò. Non è da me.
Neppure adesso...»
Ha lo sguardo triste, le stringo più forte la mano.
«Non sempre va o in un modo o nell'altro», le ripeto, con la convinzione di non essere stato ascoltato precedentemente.
Lei scuote la testa: «No, non è così...»
La costringo a guardarmi.
«Sai, a volte devi trovare l'alternativa.
Può essere scomoda, fastidiosa e incredibilmente irreale, ma aiuta.
Ti aiuta.»
Lei sorride teneramente e io, per la prima volta, non mi sento una brutta persona.

Alcuni ristoranti sono ancora aperti e la musica del locale inonda la piazzetta.
Guardiamo il campanile, un antico monumento di Frascati, vecchio di secoli e secoli, forse medioevale.
Entriamo in una gelateria.
Margherita sceglie pistacchio e cioccolato fondente.
Due gusti contrastanti, ma che insieme hanno un senso.
Io prendo solo il cioccolato.
Non ho mai adorato i dolci.
Ci sediamo su un muretto.

«Posso abbracciarti?», mi chiede appena finisce il gelato.
Io annuisco, sorpreso: «Certo.»
Lei si avvicina.
Le sue braccia mi si legano sul collo e sulla schiena, dolcemente.
Mi stringe forte.
Resto come paralizzato.
Non riesco a muovermi, respirare, vivere, ma in senso positivo.
E torno lucido quando lei, con un sospiro, mi sussurra: «Stringimi.»
E l'abbraccio anch'io.
Non ci sarà mai un posto nello spazio e nel tempo in cui vorrò stare, se non questo.

Poi si stacca da me, si allontana e si alza dal muretto ma non smette di guardarmi: «Sarebbe bello poter passare tutti i giorni così.»
«Così come?»
I suoi occhi verdi riflettono la luce del lampione a poca distanza da noi.
«Così felice», risponde sorridendomi.

Resto incantato a guardarla.
«Io devo andare ora, scusami.»
Mi alzo di scatto e le dico di getto: «Ti accompagno io.»
«No.»
«Perché?»
Cosa c'è di male?
«Perché no.»
Prende la margherita dalla tasca e torna cordiale: «Tieni.»
Me la porge.
«Grazie...»
La guardo, confuso.
Lei poi indica i miei piedi: «La scarpa.»
«Cosa?»
«Mettila nella scarpa.»
«Perché?»
Fingo di non saperlo.
«Perché mi hai scoperta. Non posso più farlo per te.»
Fingo ancora: «Scoperta? Ma che stai dicendo?»
«Nulla. Mettila nella scarpa», e fa un gesto strano con la mano, come a dire "sbrigati".
Perché non hai voluto dirmelo?
«Va bene.»
Mi chino e metto la piccola margherita nei miei anfibi.
Margherita sorride.
«Grazie», dice piano e si allontana.

Ho un fiore nella scarpa [2020]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora