No. 9

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Guardo Vittorio dritto negli occhi e gli dico: «Tranquillo, sto bene, devo solo prendere un po' d'aria!»
Ma lui mi blocca dicendo: «Puoi anche andare via, eh."
«Tranquillo», lo rassicuro ancora io.
Mi alzo e vado verso l'uscita, poi lo sento urlare: «Guarda chi c'è, la signorina del ritardo!»
Mi giro e noto che sta andando dalla ragazza che sembra Margherita.
Ma se no come paralizzato, non riesco a muovermi.
Lei ride, gesticola.
Lui ride e si abbracciano.
Sento la rabbia risalirmi dalle gambe e vado a grandi passi da Vittorio.
Lui mi guarda con aria interrogativa e mi chiama.
"Ma che mi prende?", penso.
Mi calmo e lo raggiungo.
Vittorio guarda quella ragazz alla sua destra, mi dà una leggera pacca sulla spalla e inizia: «Lele, conosci già Margherita?»

Margherita. Margherita.
Questo nome mi riecheggia in testa.
Davanti a me occupano la scena i suoi enormi occhi verdi circondati da ciglia lunghissime, ravvivati dal mascara.
Mi fissano.
Ha le guance rosse ma sicuramente non per imbarazzo, ma è il loro colore naturale.
Ciò che attira particolarmente la mia attenzione però è una margherita viva, colta da poco, posizionata tra i capelli sull'orecchio destro.
È bellissima, come lei.
I suoi occhi quando mi vedono si spalancano ma è un gesto fastidioso.
Non per me, ma per lei!
È un po' come quando si guarda il sole troppo a lungo e a un certo punto diventa disturbante perché ti acceca.

Vittorio non dice una parola in quel momento.
Un momento che mi pare interminabile, infinito, spirituale.
Probabilmente è passato mezzo minuto, trenta secondi o comunque poco.
È una minima parte di infinito, un infinito così irraggiungibile.
Ma poi lei mi tende la mano e fa: «Margherita», con naturalezza.
Le sue piccole labbra rosee si muovo lentamente accompagnando ogni singola lettera.
La guardo incantato.
Quando il mio corpo dà segni di vita tendo anche io la mano, anche se esito un po'.
Gliela stringo piano e quasi impercettibilmente sussurro: «Raffaele.»
Lei mi sorride.

Hai presente quando osservi uno spettacolo naturale?
Uno quotidiano, come un temporale o la neve che cade dal cielo e si adagia sul paesaggio o il sole al tramonto o all'alba.
Uno spettacolo che quando lo vedi ti sembra nuovo anche se sai benissimo che non lo è.
Eppure ogni volta sembra la prima e ogni volta è migliore della precedente.

Sorrido anche io, a quella ragazza che mi pare tanto fragile.
E le nostre mani si staccano.
Ma non smettiamo di guardarci finché lei abbassa gli occhi, che si socchiudono sul pavimento.

Durante la festa, però, ci dividiamo, quasi ci ignoriamo perché non non ci parliamo, non ci cerchiamo e la magia finisce in quella stretta di mano.
E prima di andare via, la noto di sfuggita, allora la chiamo da lontano e lei si avvicina velocemente.
Mi liquida dicendo solo: «Ehi, devo scappare.»
Io non voglio trattenerla se non può, o non vuole, quindi la rassicuro: «Tanto andiamo nella stessa scuola, no?»
Cazzo, me lo sono lasciato scappare.
Era solo un'intuizione, semplice intuizione, davvero!
Lei ovviamente mi guarda, i suoi occhi un po' s'inquietano, ed esita prima di parlare ma mi sorride ingenuamente: «Giusto. Me ne ero dimenticata!»
E ridacchia.
E io non mi sarei mai aspettato che avesse anche aggiunto: «Sto al quarto piano, sezione C. Se ti vedo in giro ti saluto, giuro!»
E intreccia le dita, come facevo anch'io da piccolo.
Poi conclude, tornando seria: «Ma ora devo scappare, scusa.»
Mi fa un cenno con la mano e se ne va, lasciandomi lì a guardarla sparire un'altra volta.

Ho un fiore nella scarpa [2020]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora