III

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Louis ripose il fascicolo della causa alla quale stava lavorando nel primo cassetto della scrivania in legno di ebano scuro e girò la poltrona verso la grande finestra del suo ufficio. Appoggiò il capo allo schienale e lasciò vagare i suoi pensieri.

Erano trascorse un paio di settimane da quando Harry gli aveva rivelato del suo lavoro in radio e lui si era recato appositamente sul posto per verificare di persona la veridicità delle sue parole. Da allora, quel pensiero non faceva altro che tormentarlo.

Pensare a se stesso come a uno speaker radiofonico lo confondeva: non si sentiva portato per quel tipo di lavoro, sebbene adorasse la musica.

Aveva studiato per diventare un avvocato e gli anni trascorsi ad Harvard non erano stati affatto una passeggiata, ma si era impegnato a fondo per raggiungere quel traguardo che si era prefissato e che sapeva avrebbe reso suo padre finalmente orgoglioso di lui. Inoltre, benché a causa della sua perdita di memoria non ricordasse il giorno della sua laurea, l'attestato che capeggiava in bella vista sulla parete sinistra del suo ufficio, era un chiaro segnale che fosse riuscito in quel suo intento.

Tuttavia, nonostante quello fosse il suo titolo di studio e avesse le prove concrete di aver svolto già quella professione in passato, faticava a trovarsi a suo agio tra quelle mura; come se si sentisse costantemente fuori luogo - non nel posto giusto - senza però riuscire a trovare una spiegazione plausibile a quella sua sensazione.

Forse tutto dipendeva dalla perdita di memoria che gli aveva totalmente sconvolto la vita. Non poteva asserirlo con certezza, ma certamente le conseguenze di quell'incidente gli avevano lasciato addosso una forte insicurezza.

E poi, lo spettro del lavoro in radio continuava a martellargli nella testa perché proprio non riusciva a capire come avesse potuto mollare tutto e stravolgere così tanto la sua vita.

Aveva provato a sforzarsi di ricordare - eccome se lo aveva fatto - ma la sua mente era come immersa nella nebbia; una foschia così fitta che era impossibile scorgere una via d'uscita.

Avrebbe voluto conoscere come erano andate davvero le cose, sapere tutti gli avvenimenti che si erano susseguiti in quei cinque anni, ma i dottori erano stati molto chiari nel fargli comprendere che era fondamentale, per il recupero, che la sua mente non venisse in alcun modo condizionata dai ricordi altrui. Aveva già subìto un forte stress a seguito del trauma cranico ed era importante che tornasse a vivere la sua vita normalmente, senza venire bombardato da informazioni che riguardavano l'arco temporale che aveva dimenticato.

Se voleva recuperare la memoria, era necessario che i ricordi riaffiorassero da soli.

Un'altra cosa però avevano tenuto a ribadire: per aiutare quel processo, avrebbe dovuto assolutamente continuare a svolgere la vita così come era prima dell'incidente. Se si ostinava a rimanere relegato ai ricordi del passato, rifiutandosi praticamente di vivere quello che era a tutti gli effetti il suo presente, il recupero sarebbe stato alquanto improbabile.

E in tutto ciò non poteva che apprezzare come Harry stesse gestendo la situazione, ritenendo comunque corretto fargli sapere la verità riguardo al lavoro che stava svolgendo nell'ultimo periodo, perché la considerava un'informazione che meritava di sapere, ma non insistendo nel pretendere che di punto in bianco lui lasciasse lo studio di suo padre, permettendogli così di prendere le sue decisioni in piena autonomia.

Il problema, però, era che Louis non sapeva proprio cosa fosse più giusto fare.

Sospirò frustrato, scompigliandosi i capelli, e ringraziò mentalmente che la giornata lavorativa fosse giunta al termine, segno che finalmente potesse così tornare a casa e staccare un po' la mente.

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