Capitolo 3

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Si erano spostati velocemente passando per alcuni vicoli polverosi, abbelliti dai colori dei panni stesi ad asciugare tra gli edifici che si fronteggiavano. Le sirene della polizia riempivano le strade, attirando l'attenzione di chi si affrettava sui marciapiedi e spingendoli a girare la testa per cercare di capire chi o cosa avesse causato tanto scompiglio. Una volta tornati sulla strada principale, Antony aveva assecondato Eva controvoglia lasciando che la ragazza si appendesse al suo braccio come se fossero una coppia. Inutile dirlo, l'espressione del mafioso suggeriva ben altro.

«Potresti sforzarti di fingere un po' meglio» Disse Eva a mezza voce, mantenendo senza sforzo quel sorriso così fintamente genuino. Se non avesse saputo cosa la ragazza faceva per vivere, anche Antony sarebbe stato tratto in inganno.

«Non sono come te» Replicò Tony: «E ora sta buona». Fu uno scambio breve, impossibilitato a continuare quando l'uomo iniziò a guardarsi intorno con circospezione, alla ricerca dell'entrata del locale in cui si era incontrato con Ray.

La trovò poco più avanti e, alla luce del sole, la trovò ancora più di cattivo gusto di quanto non gli fosse sembrata nel buio della notte inoltrata. La scritta dorata del Saber spiccava sul berceau color porpora posto all'ingresso di un edificio anonimo, fatta apposta per attirare l'attenzione di uomini di mezza età alla ricerca di qualche ora di intrattenimento.

«Un posto di classe» Commentò Eva.

In risposta, Antony alzò gli occhi al cielo e continuò a trascinarla verso le porte a vetro ancora chiuse. «Non è un locale all'altezza di quei finocchi dei tuoi clienti?» Chiese poi, mentre alzava la mano per dare un paio di colpi decisi contro l'anta trasparente.

Dovette ripetere il gesto un'altra volta prima che un ragazzetto, che neppure dimostrava l'età per lavorare in un locale simile, venisse ad aprire con aria scocciata.

«Che volete? Siamo ancora chiusi!» Esclamò con mal celata irritazione, squadrando senza ritegno prima Antony e poi Eva. Su quest'ultima i suoi occhi si fermarono più a lungo, accompagnati da un sorriso lascivo e untuoso.

«Lascia stare, non è alla tua portata» Lo derise Antony. Il ragazzino spostò lo sguardo su di lui, degnandolo di una seconda occhiata, e poi rise:

«Neanche alla tua, matusa».

Eva nascose un'espressione divertita dietro la mano, prima di vedere il ragazzino levitare a qualche centimetro da terra. La presa di Antony era salda sulla sua camicia mentre lo inchiodava contro la porta, sul volto un'espressione che non prometteva nulla di buono.

«Credi di essere divertente?» Chiese con voce carica di rabbia. Il volto del ragazzo era diventato una maschera di terrore, bianca come un cencio e tremante. Tony lo sbatté contro l'anta una seconda volta quando non ottenne una risposta, incurante delle vibrazioni che scossero il vetro. A giudicare dal genere di locale, nessuno doveva aver investito troppo sull'ingresso ed Eva finì per chiedersi quanti colpi sarebbero stati necessari per mandare in pezzi lo scadente materiale.

«Che ne dici se uso la tua testa per aprirmela da solo?» Rincarò Antony, indicando con un cenno la porta a vetri alla sua destra, richiamando cosi l'attenzione di Eva. E non solo la sua: anche se meno numerosi della folla che si accalcava per le strade dei quartieri "per bene" poco più giù, c'erano comunque diversi uomini che iniziavano a lanciare un po' troppe occhiate nella loro direzione. Il sicario fece per intervenire, ma proprio all'ultimo una voce sconosciuta la fermò.

«Che sta succedendo qui?!» Esclamò il nuovo venuto, un uomo ben piantato, giovanile quasi, nonostante i primi fili bianchi cominciassero a fare mostra si sé tra i capelli neri lucidi di brillantina. Non appena però i suoi occhi si posarono su Antony, un sorriso sornione si fece strada sul suo volto.

I Demoni di RockfordDove le storie prendono vita. Scoprilo ora