Accattone

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Accattone, è questo che sono, non me ne vergogno, non posso essere altro in questa vita.

 Me ne sto fermo all'incrocio tra via del nulla e via del poco. 

Vivo alla giornata, quello riesco a racimolare, un tozzo di pane, un po' d'acqua, la pancia è vuota, l'animo è in trambusto e la coscienza mi ricorda che la vita è un'altra cosa. 

Torno al mio giaciglio, la sera è ormai calata. 

Le finestre sono accese nei grandi parallelepipedi grigi che formano una città qualunque in un luogo qualunque della vita. 

Pure a nascere ci va fortuna e io, fortunatamente, non ne ho mai avuto, ancor prima di nascere.Dai vetri si sentono gli strilli, le risate, la TV accesa che sputa più informazioni di quelle che ci servono.  

È quando viene sera che mi sento solo. 

Il mondo si rintana, aspetta che la luce del giorno torni a riscaldare sto lato oscuro della coscienza.Tutti nelle braccia di qualcun'altro, per sentirsi protetti, per sentire meno freddo quando i cipressi chiameranno a raccolta tutti, uno dopo l'altro. 

Io cammino per sta strada vuota, ecco il mio palazzo grigio, è tutto spento, manco una risata a rallegrare sta facciata triste di cemento. 

Mi accascio sul letto, il materasso è duro come la pietra, come l'angolo di strada in cui ogni giorno incontro sempre gente nuova, visi sereni, altri imbronciati, altri ancora incazzati con una vita che non vorrebbero fosse così dura. 

Li osservo, alla fine io sono l'accattone, per mestiere guardo la vita degli altri e sogno, sogno che un pezzetto di quella vita, un giorno, decida di investirmi in pieno sperando di non rimanerci secchi nell'impatto. 

Chissà, magari domani va meglio, fammi dormire ora, mi devo alzare presto, che l'angolo mio è il più richiesto.

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