Fu una vita infelice.

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Suzie stava alla finestra, fissava il vuoto, o meglio, i suoi occhi incrociavano ogni persona che passava sul marciapiedi. Spesso e volentieri, quando era malinconica, si ritrovava ad osservare il mondo fuori. Dentro di lei il mondo era malinconico, la sua vita scorreva lenta come il pendolo di un orologio ormai quasi scarico. Nessuno aveva girato la sua chiave, nessuno aveva mai cambiato la sua batteria. Così il suo mondo era rimasto uguale, lo poteva definire sospeso. Non c'erano via di fuga. Ogni giorno si confrontava con se stessa allo specchio. Lisciava i suoi fili d'ebano allo specchio, ci passava le mani, giocava con le sue ciocche mentre procedeva sistematicamente a capire quale fondotinta avrebbe dovuto usare per coprire le sue occhiaie. A volte le toccava anche coprire qualche livido. Suzie dava sempre l'impressione di essere sola, ma tutto il vicinato conosceva suo marito Ralph. Ralph sulla quarantina, pelato al centro della nuca con i capelli che gli disegnano una corona, leggermente sovrappeso, vestito quasi sempre in divisa.
Lo amava? Ormai non più, l'amore per lui era stato sostituito da un affetto senza precedenti. Era disposta a mettersi ancora in gioco per un rapporto ormai morto da tanti anni. Lei e Ralph non avevano avuto figli, avevano tentato ma con il tempo questo aveva rovinato il loro matrimonio. Era risultata sterile e questo suo marito non poteva accettarlo.
Forse fu proprio quello a far scoppiare l'ira di quell'uomo. All'inizio riceveva solo insulti come “Sei una buona a nulla.” “Ho sposato l'unica donna rotta.” “Non ci sarà mai cura al tuo capriccio, se non posso avere un figlio è solo a causa tua.” Lei ogni volta chiudeva gli occhi, faceva cenno di no con la testa e poggiava le sue mani al ventre. Avrebbe tanto voluto avere una creatura da cullare, spesso e volentieri desiderava essere la mamma che non sarebbe mai stata e il padre che non aveva mai avuto. Ralph non riusciva a vedere il dolore di sua moglie, riusciva solo a vedere un contenitore dove riversare le sue frustrazioni. Avevano deciso di avere un figlio appena sposati, eppure era stato così difficile e poi, quando finalmente ce la stavano per fare, lui era tornato ubriaco a casa e l'aveva strattonata. Quello strattone l'aveva sorpresa, non era riuscita a reggersi bene ed era caduta dalle scale. Subito un dolore le si era propagato in tutto il corpo, fin quando non vide macchie rosse sul suo vestito di seta a fiori. Era corsa subito all'ospedale, cercando di non far caso ad un dolore così forte che voleva piegarsi. Qualche ora dopo era tornata a casa, stanca, mentalmente distrutta e pronta a piangere per intere settimane. Perché non ne aveva parlato a Ralph? Semplice, non voleva che si sentisse in colpa per un suo errore. Non era in sé, non poteva sapere che avrebbe compromesso la possibilità di riuscire nell'immediato ad avere un figlio. Suzie aveva contato i giorni, scaramantica come era aspettava i tre mesi per riferire la notizia. Mancava un solo giorno e la possibilità di un loro figlio era sfumata, rotta, frantumata in mille pezzi che lei aveva raccolto e messo via con cura. Sperava ancora di avere un figlio, anche se ormai non dormiva neanche più con suo marito. Quando ripensava al loro amore, ricordava chiaramente gli inizi di quella storia ormai consumata. Lei e Ralph si erano conosciuti da giovani, avevano condiviso insieme cinque anni di scuola. Non erano solo compagni di classe ma anche vicini di casa, e se all'inizio la loro era una grande amicizia, con l'adolescenza qualcosa era iniziata a cambiare. Provava attrazione per quel giovane con cui aveva condiviso giochi tipicamente maschili, con cui aveva corso fino a sentirsi scoppiare i polmoni e con cui aveva sviscerato ogni rana che trovavano. Spesso e volentieri si arricciava se sapeva che la sua famiglia passava a prendere un the e quando andavano al lago si vestita in maniera decente solo per lui. All'inizio infatti era sempre stata un maschiaccio, nei modi, nei gesti, nel vestire. Con il tempo aveva imparato a curarsi, e anche se era diventata molto bella l'unica testa che voleva far girare, non girava. Spesso e volentieri passavano ore e ore a parlare vicino alle rocce di Gold Lake, condividevano i sogni sotto il sole che batteva sulle loro teste.
:”Sai, a volte vorrei poter studiare fuori.” Le riferiva mentre strappava interi pugni d'erba.
Suzie lo guardava con gli occhi trasognanti :”Non ti farebbe paura vivere fuori da questa città da solo? Io avrei una paura matta.” :”Sì Suzie, ma tu sei una donna, le donne solitamente hanno paura di molte cose. Io sono un uomo, non ho paura di niente, neanche della morte.”  Suzie era rimasta stizzita da quel commento così maschilista da parte sua, ma capiva il punto di vista coltivato dal ragazzo che ora le stava affianco. Forse fu proprio per quello che gli prese la mano. Lui l'aveva guardata con aria molto dolce :”Oh Suz, io ti voglio bene, mi interessi ma non ho ancora provato la scintilla.” Ferita? Colpita e affondata avrebbe detto. Il suo viso era diventato d'un tratto triste, si era voltata ed era andata via. Era letteralmente corsa a casa e si era chiusa nella sua confortevole camera, l'unico posto dove si sentiva al sicuro e dove i suoi sentimenti intoccabili. Erano passati i giorni e suo padre era andato via di casa. Non che fosse la prima volta, suo padre era letteralmente inesistente nella sua vita. La prima volta che lo vide andare via aveva solo cinque anni. Suo padre si era preparato la valigia mentre sbraitava contro sua madre, le dava la colpa della povertà, della fame, della miseria. Lui dava tutto per quella famiglia ma  non riceveva abbastanza. Lo aveva visto allontanarsi sotto la pioggia nel suo grande cappotto color cachi mentre incespicava con la valigia. Inizialmente erano così poveri da non potersi permettere un ombrello. Effettivamente Suzie non si poteva permettere un sacco di cose quando era bambina. Spesso e volentieri erano le sue cuginette a regalarle i giocattoli usati, ma non senza prima averla torturata. Effettivamente la sa vita sembrava un collage di sfortunati eventi e spiacevoli momenti. Le sue cuginette l'avevano sempre detestava, lei lo sentiva. Spesso andava insieme alla mamma a trovarle nella loro bellissima casa. Zia Jo sapeva sempre di profumo costoso e appena la vedeva le dava un pizzicotto sulla guancia. Odiava il modo in cui le toccava il viso, ma apprezzava il fatto che subito dopo le dava sempre un biscotto al cioccolato. Aspettava composta, seduta sulla sedia mentre osservava la legna che bruciava nel cammino. Sperava sempre che le visite fossero brevi ma ogni volta vedeva apparire Margaret, Josephine e Julie. Alte uguali, con dei vestiti fuori moda ma così belli da sembrare sempre piene di classe. Adorava i loro vestiti di pizzo, a scacchi, che facevano tanto moda vittoriana. Appena la zia dava il via libera per andare a giocare loro la trascinavano letteralmente in soffitta. Le bloccavano mani e piedi per poi iniziare a farle il solletico, quella per lei era la tortura minore. Ogni volta che le vedeva avanzare verso di lei, aveva così paura da bagnarsi della sua stessa urina diventando zuppa. Sua madre ogni volta si doveva scusare per questo suo “piccolo incidente” ma quando proferiva parola, sul come le cuginette avevano tentato di farle mangiare una rana morta o di come volevano aprirle la pancia per vedere come era fatto il corpo umano, sua madre la zittiva con un solo sguardo. Aveva letteralmente il terrore, ma il ricordo più brutto era quello in cui le tre cuginette erano corse con il pugnale verso di lei, volevano fare un rito per far risorgere un morto. Suzie aveva urlato così forte che zia e mamma erano salite su di corsa, le tre pesti avevano appena fatto in tempo a slegarla che fu trovata per l'ennesima volta zuppa e in lacrime.  Anche quella volta aveva raccontato il tutto ma la madre era sbottata ad urla :”Tua zia è una donna pia. Hai visto la croce che porta al collo? Fin da bambina è sempre stata una vera Cristiana. E le sue figlie non sono da meno, non so cosa ho fatto io per meritarmi una figlia così bugiarda. Suzie, sei proprio come tuo padre, un grande bugiardo.” Suzie cercò di ricordare mentalmente sua zia, ogni dettaglio, la lampada della grande cucina dove spesso le accoglieva, i suoi capelli raccolti in una coda morbida e infine la croce al collo. Inghiottì ogni lacrima mentre gli occhi ormai gonfi di pianto si chiudevano da soli, voleva solo farsi un bagno e infilarsi nel suo letto.  Sì, Suzie pensava ogni volta che si affacciava alla finestra a tutti questi eventi, al padre che se ne andava, alle cugine che la torturavano, al rifiuto del suo amore. Come era finito Ralph con lei? Non sapeva spiegarselo, un giorno bussò alla sua porta e dichiarò di aver capito che ciò che provava non era solo un'amicizia. Si era innamorato grazie alla loro lontananza, stando insieme non poteva analizzare al meglio i suoi sentimenti. Chiudendo gli occhi riusciva a rivedere tutti i momenti della loro relazione, dai baci sotto la pioggia alle feste con i loro amici, i vestiti che cadevano per terra quando si accarezzavano. Ma poi le tornavano in mente tutte le ingiustizie, i dolori e i dissapori. Ciò che le faceva più male era il nuovo Ralph che si presentava ogni sera a casa, la dolcezza era stata cancellata con il tempo, le carezze sostituite agli schiaffi, le poesie ai suoi insulti. Ogni volta inghiottiva ogni dolore come se fosse un rospo da mandare giù. Spesso si domandava se ne valeva la pena, si sentiva fragile e senza ormai vita. Non aveva più momenti felici, non aveva più la speranza di dare a qualcuno una vita migliore. Spesso suo marito la esortava a suicidarsi e lei rispondeva sempre con il sorriso :”Magari un giorno tesoro mio, magari.” E così il pensiero si era pian piano fatto avanti nella sua mente, suicidarsi era la soluzione giusta?
Tirò le tende mentre nel frattempo inghiottiva qualche compressa di xanax, non che non ci provasse, ogni giorno aumentava gradualmente la dose. Prima o poi sarebbe arrivata da quel figlio mai avuto, quel bambino mai nato. Prima o poi, ma per il momento, pensò Suzie, buonanotte.

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