Il suono del coraggio- Serenità (1457 parole)

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Le due ragazze si trovavano in uno dei tanti treni che portavano dal centro di Milano in periferia, lontano dalla frenesia e il rumore della grande città. All'apparenza chiunque le avrebbe considerate due amiche o conoscenti, anziché sorelle. Perché, infatti, erano una l'opposta dell'altra ed in comune avevano solo i genitori e la passione per la musica, ed è stata propria quest'ultima a dare loro il coraggio per andarsene di casa e fuggire lontano.
Luna, con il suo ordinato chignon nero in testa e lo sguardo perso a guardare il paesaggio fuori dal finestrino, stava pensando se aveva fatto bene a scappare. Era tutta la vita che aspettava quel momento e, ora che ci si trovava, non era più sicura di nulla. Non sapeva dove era diretta e la sua unica certezza era che il posto dove sarebbe arrivata le avrebbe dato molte più opportunità di quelle che mai avrebbe potuto avere rimanendo, ma non le bastava. Voleva delle certezze, certezze che non aveva mai avuto e che bramava tanto. Purtroppo non c'era stato tempo e aveva dovuto decidere in fretta, senza pensare neppure alle conseguenze; troppo presa dal momento e la voglia del nuovo.
Serena, d'altro canto, sorrideva e continuava a parlare e straparlare, sognando una vita migliore, magari proprio quella a cui andava incontro. Aveva portato con sé solamente un piccolo zaino con dentro un paio di vestiti e la custodia che conteneva il suo flauto traverso. Amava quello strumento ed era letteralmente tutta la vita che studiava musica, anche se non proprio sotto la sua concezione di musica. Secondo i suoi genitori quella classica era l'unica esistente e praticabile, il resto era un qualcosa si inconcepibile, e, forse per la sua voglia di ribellione o il suo desiderio di provare il proibito, amava suonare la musica pop. Aveva un vero talento, anche se spesso smentito o sottovalutato appositamente.
Luna, invece, si era sempre attenuta alle regole dei genitori, coltivando in segreto la sua passione per la musica moderna. Agli eventi e durante le prove alla Scala, suonava il violino in modo classico, mentre in quei piccoli, fugaci e preziosi momenti di svago che coloravano le sue giornate grigie, si divertiva a sperimentare brani, suonando il proprio strumento come solo pochi altri prescelti sapevano fare.
"Tutto bene, Lu'?" un fievole sussurro da parte della rossa interruppe quel silenzio.
"Oh.. sì, sì..." rispose lei, accennando un sorrise forzato.
Dopo quelle poche parole che si erano scambiate, nessuna delle due osò più aprir bocca; era un momento troppo importante per essere infangato da conversazioni inutili.

"Scendiamo" fu l'ultima cosa che Serena disse prima di uscire dal treno, che si era fermato in una stazione al quanto malandata e spoglia.
La più grande prese con sé le sue cose: uno zaino abbastanza spazioso e il suo violino, e si incamminò con la sorella verso l'uscita. Immediatamente un leggero vento la investì, facendola rabbrividire e, quasi automaticamente, sorridere. Prese un profondo respiro e si stupì di quanto l'aria fosse diversa rispetto a quella che si respirava in città. Dopo aver chiuso gli occhi ed essersi goduta quei piccoli attimi di tranquillità, seguì Serena fuori dalla stazione.
"Dove stiamo andando?" Chiese la ragazza corvina, mentre seguì la sorella per le strette strade di un piccolo paesino.
"Vedrai" l'altra si girò e sorrise divertita, sistemandosi meglio lo zainetto sulla spalla. Luna scosse la testa, e le sembrò di tornare bambina, quando tutto era molto più semplice e l'andarsene di casa era solo uno stupido sogno irrealizzabile. Si ricordò di quando giocava nei prati, e di quando andava in bicicletta nel giardino dei nonni. Un sorriso nostalgico le si formò sulle labbra. Dopo poco rialzò la testa, abbassata mentre ripensava ai tempi felici, e si stupì nel vedere davanti a sé un grande cancello grigio, che celava un'altrettanto grande casa. Quella dei nonni.
Dopo varie esclamazioni stupite e sorrisi contagiosi da parte di entrambe, le ragazze finalmente decisero di varcare il cancello ed entrare nel giardino.
Serena si guardò attorno. Quando aveva deciso di venire lì, non sapeva bene a cosa sarebbe andata incontro. Tanti, forse troppi ricordi le scombussolarono i pensieri. Lei e sua sorella che correvano. Che giocavano. Che ridevano. Che sorridevano. Felici. Sempre e comunque felici. Un senso di nostalgia la travolse, ma nonostante questo continuò a camminare verso la piccola porticina che conduceva all'interno della casa.
Luna, invece, aveva in testa ricordi tutt'altro che felici. Pensò a quando era venuta, alla tenera età di cinque anni, dai nonni e questi le avevo regalato il suo primo violino. Pensò a quando studiava lì con loro, e a quanto le volessero bene. Quando si ritrovò a pochi passi dall'entrata, però, un ricordo sovrastò tutti gli altri, facendola fermare. Le venne in mente di quando era venuta l'ultima volta in quella casa, di quando aveva dovuto salutare per l'ultima volta sua nonna, morta pochi giorni dopo a causa di un tumore. Si ricordò tutto il dolore di quel momento e si sentì terribilmente strana a pensare che tutto quello fosse solo un ricordo lontano, che poi tanto lontano non sembrava.
"Andiamo?" Le chiese sua sorella preoccupata.
"Andiamo" disse convinta la ragazza corvina, per poi varcare la soglia dell'entrata.
Appena dentro si diressero in salotto, con passo lento e, quasi, misurato. Sotto di loro le assi di legno cigolavano appena, e tutto di quella casa sembrava star urlando ricordi, alcuni meno allegri di altri. Arrivate nella stanza il grande orologio a pendolo iniziò a suonare. Erano le tre. Entrambe le ragazze sapevano cosa voleva dire. In quell'esatto momento, infatti, Luna avrebbe dovuto inziare a suonare il proprio violino davanti a centinaia di persona. Sarebbe stato il suo primo, serio, spettacolo alla Scala.
Quasi automaticamente Serena si avvicinò a lei, con l'intento di consolarla, ma quest'ultima si ritrasse, tirando fuori dalla sua custodia il violino. Sorrise, e se lo appoggiò delicatamente sulla spalla. Con l'archetto andò a punzecchiare le prime corde, per poi inziare a suonare. La rossa rimase, come ogni volta, incantata dalla destrezza della sorella. Aveva gli occhi socchiusi e non sembrava neanche star badando a ciò che suonava. Era molto più che brava. Aveva un vero e proprio talento e Serena, a volte, lo inviadava. Lei era brava, molto brava, ma non eccellente.
Luna riaprì gli occhi lentamente, per poi far segno alla sorella di tirare fuori il suo flauto traverso. Lei indugiò un'attimo, ma poi lo tirò fuori dalla sua custodia. Se lo appoggiò sulle labbra, ed inspirò profondamente. Un odore di antico e polvere, misto a quello di lavanda, le invase le narici, facendole ricordare quando suonava per i suoi nonni, forse le uniche persone al mondo, oltre che a Luna, che la apprezzavano per ciò che era e suonava.
Appoggiò tutte le dita sui vari fori, ed iniziò a suonare dolci note, inizialmente lente, come quelle della sorella, e poi sempre più veloci e simili a quelle di una canzone moderna. Luna la seguì ed entrambe riuscirono a trovare in poco tempo il perfetto equilibrio tra i due strumenti, così diversi tra loro.
Per pochi istanti sembrò ad entrambe di essere tornate bambine. Improvvisamente tutto il resto scomparve, lasciando spazio solo a loro e alla loro musica. Sorridevano e gli occhi gli brillavano di felicità. Di quella felicità pura ed immutabile, che rende il mondo, o almeno il tuo, un posto migliore. Di ricordi tristi non ce n'era più alcuna traccia. Era tutto perfetto, o almeno così sembrava, e, anche se era solo un'illusione, faceva stare meglio entrambe e, questo, era più che sufficiente. Le dolci note facevano da sottofondo, liberando le menti delle due ragazze da tutti i pensieri di quel momento. Avevano combattuto molto, erano state coraggiose e lo avevano finalmente dimostrato anche a sé stesse.
Il vento faceva tremare le finestre e il sole illuminava, quasi prepotentemente, tutto il salotto. C'era della polvere, in aria, e si sentivano vari profumi e odori, molto diversi tra loro.
Luna, per la prima volta dopo molto tempo, si sentì libera. Era libera... Suonare, in quel momento, per lei era come star urlando a tutti quanti che ce l'aveva fatta. Che lei, in fondo, era molto più forte dei genitori e delle aspettative troppo alte che le imponevano costantemente.
Serena si sentì completa. Come se fosse abbastanza. Era una strana sensazione, che non provava da anni, ma era bella, bellissima. Non aveva paura di sbagliare una nota, o di dover suonare per forza brani che non le piacevano. Sentiva di essere finalmente a casa. Perché casa, non è un'edifico o un luogo. Può essere qualsiasi cosa, e Serena, finalmente, aveva capito qual'era la sua di casa: Luna e il suo flauto traverso.
Le due sorelle si guardarono e sorrisero. Erano felici. Dopo tanto, tantissimo tempo erano veramente felici.

thatsmarti

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