Capitolo 3: Cos'è il potere? [Parte I]

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A Villa Malfoy, le cose non andavano bene come tutti pensavano – o speravano.
Anche quella mattina, il piccolo Draco fu costretto a far lezione col nonno, Abraxas.
Lezioni di cosa, vi starete chiedendo.
Lezioni di Maledizione Cruciatus.
Draco non voleva, non era affatto divertente vedere sua madre e suo padre contorcersi come se stessero patendo le pene dell'inferno. Aveva supplicato, pianto addirittura a dirotto davanti al nonno, per dirgli di smetterla. Per supplicarlo di porre fine a tutto quel dolore negli occhi dei suoi genitori, scongiurando l'uomo più anziano di perdonare sua madre e suo padre per qualsiasi grave errore avessero commesso per farlo arrivare a tanto, per quanto un bambino di otto anni potesse cercare di essere diplomatico e convincente. Benché non capisse i motivi che spingevano l'uomo anziano a comportarsi così.

Ma la risposta era sempre la stessa.

«Se un uomo si dipinge un bersaglio sul petto, piccolo mio, deve aspettarsi che prima o poi qualcuno gli lanci una maledizione.» diceva. «Questo è il prezzo che quella cagna di tua madre e quel cane di tuo padre devono pagare per non aver voluto collaborare con me per far risorgere il Dio di un nuovo mondo. È stato questo che ha fatto dipingere loro un bersaglio sulle loro teste. Ed è questo che li ha resi per me meritevoli di numerose maledizioni. Ed ora guarda, piccolo mio. Guarda come il sangue puro inizia la riconquista del mondo magico partendo dall'eliminazione della feccia dai nostri ranghi.»

E poi continuava, ancora ed ancora, a lanciare sui corpi inermi di mamma Narcissa e papà Lucius innumerevoli maledizioni.
Mentre il piccolo Draco ricacciava indietro le lacrime, deglutendo a vuoto, mentre un nodo fortissimo gli premeva sulla gola, facendogli mancare l'aria. Tutto questo mentre la solita nausea si faceva strada nel suo stomaco, nel guardare quella scena ancora e ancora, ogni giorno, a cadenza regolare.

Era sempre stato cresciuto in un'ottica abbastanza particolare, dove la sua famiglia e tutti i purosangue come loro avevano più diritti di molte altre persone, tipo i nati babbani, o comunque dove la sua famiglia venisse prima di ogni cosa, e che avrebbe dovuto fare di tutto per portare onore e prestigio al nome dei Malfoy.. ma quello era troppo. Gli faceva male al petto vedere gli occhi lucidi di sua madre guardarlo in faccia, mentre il nonno, in preda ai suoi deliri sempre più forti, la torturava davanti a lui per "dargli delle lezioni".
Ogni giorno, infatti, dopo quelle lezioni, lui spariva nella sua camera, ad esercitarsi col pianoforte a coda che gli avevano regalato i suoi padrini, cercando di dimenticare. Di essere forte, per rendere fiero il nonno, cercando di non piangere, e di suonare bene gli spartiti che la zia Dary gli aveva lasciato.
Ma non ci riusciva.
Era sempre sovrappensiero, ricordando con orrore quello che aveva visto fare ai suoi genitori, e stonava. E non capiva.
Non capiva perché suo nonno facesse tutto quel danno, spargesse tutto quel dolore, solo per il volere di un "Dio", un qualcuno che probabilmente, se fosse esistito, nemmeno lo avrebbe notato, come il Cristo Santissimo che osannavano i babbani. Si sentiva stupido ed inetto ogni volta che succedeva, ogni volta che stonava, ogni volta che ci ragionava e non capiva, malgrado avesse solo otto anni, e l'unico a notare le sue lacrime era solo Dobby, il suo elfo domestico. Forse il suo unico amico, da quando quell'incubo era iniziato. Da quando la sua infanzia aveva iniziato a guastarsi a causa di un adulto.
Ogni volta che Draco finiva per piangere, infatti, arrivava Dobby a consolare il padroncino, portandogli una cioccolata calda, delle volte anche accompagnata da qualche dolcetto appena sfornato, dato che in quella villa, benché fosse estate, vi era una temperatura quasi glaciale.

Anche quel giorno ebbe quella stessa routine: torture nei sotterranei con Abraxas, questa volta da solo, senza i due sudici amici del nonno, lui che saltava il pranzo e correva in camera sua a suonare, mentre Dobby gli faceva compagnia.
Il bambino biondo aveva iniziato a strimpellare lo spartito della "Moonlight Sonata" di Beethoven, e, come al solito, dopo i primi minuti andato benino, sbagliò una nota, rendendo il tutto meno gradevole da ascoltare.
Si alzò, scoppiando in lacrime, per andare a rannicchiarsi vicino alla finestra, scosso da silenziosi singhiozzi: era un fallimento a suonare, un fallimento come erede di suo nonno, come figlio.. era così stupido ed inutile.

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