5. La morte

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Insieme ad Andrès morì anche una parte di me. Quella parte aggrappata alla speranza di un suo ritorno, di un futuro. Un futuro con lui, un sogno che non riuscivo ad accettare fosse ormai impossibile.
*****
Che senso ha vivere a metà, mi chiedevo.
Quando una parte di te è ormai morta, che senso ha anche solo provare ad andare avanti, a ricostruirla.
Ma d'altronde, cos'è che aveva un senso ormai?
Tormentato da queste domande un giorno presi una pistola. La presi tra le mani, poi me la puntai alla testa.
Volevo morire. Volevo porre fine quella fottuta catena di sofferenze iniziata da ormai troppo tempo. Mi mancava solo una cosa: la forza.
Perché di forza non ne avevo, era morta con quella parte di me. E non potevo far nulla per rimediare. Non potevo riaverla. Non potevo riaverlo. Eppure, non potevo neanche accettare la realtà.
                                      *****
Tra una bottiglia di vino ed una di scotch i giorni passavano, nonostante io fossi bloccato a quel momento, a quell'addio.
Era il mio inferno, e non potevo fare altro se non imparare a conviverci.

Così, il tempo continuava a passare, il mio loop infernale a ripetersi, ed io iniziavo ad accettare la mia impotenza. Perché ormai, nonostante il mio corpo fosse ancora lì, io non c'ero. Ero morto. E che potere può avere un morto?

Il mio ultimo passo verso la mia totale rovina fu l'accettazione.
L'accettazione della realtà, assurda e contorta, ma soprattutto, priva di lui.

Dolore|| PalermoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora