{5} Analisi

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«La vita fa schifo.» la donna non batté ciglio, ma anzi continuò a guardare l'uomo in attesa che continuasse la frase. «Meglio, il mondo fa schifo, ed io ci ho messo dentro un'anima innocente, allo schifo.»
Teneva il gomito sul bracciolo della poltrona in tessuto verde bottiglia, aveva il mento poggiato al dorso della mano e si sforzava di non guardare la donna dalla pelle ambrata che, seduta ad un paio di metri da lui su una poltrona blu-mare, scriveva qualcosa sul taccuino.
Lei scriveva sempre, anche quando lui si sedeva in modo diverso dal solito o faceva un gesto diverso dai classici.
Prese la parola solo quando lo vide tacere per oltre un minuto «Me lo dici ad ogni seduta.»
Ormai lui aveva imparato a leggere il labiale «Allora non capisco cosa stia scrivendo di nuovo su quel foglio di carta.» seguirono brevi attimi di silenzio «Anzi, sa che le dico? Non mi interessa che sta scrivendo.»
Ancora silenzio, sta volta interrotto dalla donna «Il mondo può essere peggiorato dal tuo punto di vista, ma puoi ancora fare in modo che tuo figlio abbia una vita felice.» cazzate, per lui erano tutte cazzate. Un bambino senza la propria madre non viveva di certo bene, e con un padre triste e sordo, idem.
La verità era che lui non era più adatto a crescere suo figlio, e l'altra verità era che quel mondo non era adatto per un bambino, con lei al suo fianco si era soltanto illuso che le cose potessero migliorare.
Beh, non potevano farlo.
«Ares.» lo richiamò la donna, mentre lui era perso nei propri pensieri «Se non ti apri a me... se continui ad analizzare il contesto, se analizzi il mondo e non come ti senti tu, queste sedute saranno inutili.»
«Come mi dovrei sentire?» attaccò a parlare subito, senza lasciarle il tempo di dire altro, noncurante di sapere se avesse intenzione di aggiungere qualcosa «Cosa resterebbe da analizzare di me, sentiamo?» continuò, retorico, ormai una ruga di rabbia gli adornava costantemente la fronte «Ho perso mia moglie, uccisa dal mio migliore amico, le sembra qualcosa di lontanamente comprensibile? Le sembra che potrei mai riprendermi da un evento del genere? Anche tra dieci anni, sarò ancora vedovo, e mi porterò ancora dietro l'invisibile cicatrice di quella notte. Sarò ancora sordo, non sentirò mai la voce di mio figlio chiamarmi papà, non sentirò mai più le note di un pianoforte, non sentirò mai più la voce di mia moglie... e prima o poi la dimenticherò, è inevitabile.» aveva lentamente portato i gomiti sulle ginocchia, e si era raccolto il volto nelle mani, disperato.
Anche se la dottoressa avesse detto qualcosa, in quel momento non l'avrebbe sentita né vista.
«La verità... la verità è che ho paura.» sembrava che le lacrime volessero uscire da lui, liberarlo... ma ne aveva piante fin troppe. «La verità è che mi sento perso, non ho più un punto di riferimento.» prese fiato, come se non riuscisse a respirare più normalmente, come se lentamente la sua anima gli stesse scivolando via dalle mani e lui fosse totalmente inerme dinanzi a quel dolore.
La verità era che lui era davvero inerme, vittima degli eventi, e da quando aveva perso l'udito si sentiva ancora più vulnerabile al mondo esterno.
E come avrebbe potuto proteggere il suo bambino se non riusciva a proteggere nemmeno sé stesso?
Non poteva, era questa la conclusione a cui era arrivato.
Alzò lo sguardo appena per vedere le labbra della donna, che però rimasero ferme, immobili, come in attesa.
Aveva scritto qualcosa sul taccuino? Non ne aveva idea... eppure non gli importava più, in quell'istante.
«Le basta, come analisi di come mi sento?»
Non tentennò nemmeno un attimo, nel rispondergli.
«È un buon inizio».

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"Questa storia partecipa a #TheWritingWeek di Fanwriter.it"
» Day 5
» Lista: PERSONALIZZATA
» Prompt: Angst

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