Non era raro che mi fermassi ad ammirarlo di nascosto, quando era distratto.
Era sempre stato un bel ragazzo, imponente, di bell'aspetto, costantemente sbarbato e mai sciatto, sembrava una scultura perfetta in ogni proporzione, studiata e restaurata giorno per giorno per far sì che non perdesse mai la sua bellezza.
Io lo ammiravo, ma lui sembrava quasi non accorgersene... sembrava quasi distante. Scoprii solo dopo che in realtà aveva perso la testa nel primo istante in cui ci eravamo incontrati.
Fui la prima a godere delle sue attenzioni giorno per giorno, era partito con dei piccoli accorgimenti, mi corteggiava con grazia, senza troppa fretta... compreso il fatto che ricambiavo il suo affetto aveva poi iniziato a dedicarmi tutte le attenzioni di cui era capace, voleva conquistarmi sempre di più, senza rendersi conto che già lo amavo.
Era nato così il nostro amore, inavvertitamente di nascosto agli occhi degli altri ci eravamo avvicinati ed ormai eravamo incapaci di allontanarci.
Tutti intorno erano contro di noi: i nostri genitori, i nostri amici, persino il suo migliore amico continuava a cercare di farlo desistere... ma in fondo non ci importava.
Vivemmo per poco nell'ombra, poi per forza di cose lasciammo che la luce ci illuminasse, che ci mostrasse al mondo così com'eravamo, innamorati persi, inseparabili.
Ovviamente non avemmo vita facile, ma le cose andarono sempre meglio, e di certo non ci facemmo abbattere solo perché non avevamo il consenso di tutti coloro che erano al nostro fianco.
E ora ci trovavamo lì, all'alba di un giorno estivo, sull'Areopago, una famosa collina Atenese, dopo un lungo viaggio costato mesi e mesi di lavoro intenso. Il dio della guerra era inginocchiato dinanzi a me e cercava a tutti i costi di aprire la tasca laterale del suo zaino, dando sfoggio di tutta la sua forza imprecando contro la zip inceppata.
«Possibile che riesca a rovinare anche un momento simile...» si chiedeva borbottando mentre io mi abbassavo alla sua altezza. Poggiai un ginocchio a terra e mi sporsi verso di lui «Vuoi una mano?»
Mentre sospirava gli comparve sul volto un broncio per niente degno di un dio che rappresenta la sete di sangue «Sarebbe dovuto essere il nostro momento... sarebbe dovuto essere perfetto.»
«A me sembra perfetto.»
«Sto litigando con una zip.»
«Ti tremano le mani dall'emozione.»
«Ti ho portata sulla collina dove pare esserci stato il primo processo per omicidio della storia per farti la proposta di matrimonio, e vengo battuto da una zip. Sono un disastro.» Effettivamente era tutto particolarmente teatrale.
«Sei perfetto.» detto questo poggiai delicatamente la mano destra sulla sua, e gliela spostai sull'altra zip, quella a sinistra dello zaino.
Quella vera, non la zip di abbellimento messa lì solo per rispettare l'estetica simmetrica del prodotto.
Aprì velocemente la tasca, e ci tirò fuori la scatolina. Se la rigirò tra le mani «Siamo la coppia più bizzarra del mondo...»
«Sì.»
Spalancò appena gli occhi «Sì che siamo la coppia più bizzarra del mondo?»
«Sì... e sì, ti voglio sposare.»«Per l'amor di Zeus, puoi venire un attimo ad aiutarmi con questo aggeggio infernale?»
Il ragazzo sbuffò sentendo la voce del padre urlare dall'altra parte della casa. Non era davvero infastidito, ma gli dispiaceva interrompere la sua lettura sul più bello.
Osservò ancora una volta le scritte tondeggianti sui fogli un po' ingialliti, prima di chiudere il quadernetto che teneva tra le mani, steso sul proprio letto.
"Diario di A." c'era scritto sulla copertina, sempre a mano.
Suo padre affermava spesso che stesse per "Diario di Afrodite", non si stancava mai di dirglielo, e lui ogni volta non replicava.
Era una delle poche cose rimastegli diverse dalle foto che gli permettessero di crearsi un'immagine di sua madre... e forse, quelle scritture, quei racconti romanzati sulla storia che aveva avuto con suo padre, erano la cosa che più lo avvicinava a lei.
Ed erano anche molto divertenti, doveva ammettere.
«Lo sai che posso installarti un virus in qualunque momento, vero?» sentì ancora il padre urlare e decise di alzarsi, pur di farlo smettere. Posò il diario sul proprio comodino ed uscì dalla propria stanza.
Quando arrivò in soggiorno lo vide macchinare con un tablet, che era stato appoggiato in modo per niente fisso dove ci sarebbe dovuto essere uno spartito di carta, poco sopra i tasti del pianoforte.
Era riuscito, miracolosamente, a convincere suo padre a passare dalla carta al digitale; ma pareva fosse abbastanza restio a capire come funzionasse.
L'uomo si girò verso di lui mentre si avvicinava e lo osservò sedersi al suo fianco, su un altro sgabello.
«Prima di tutto... non c'era un appoggio per il tablet, da mettere qui?» domandò il ragazzo, ovvio.
L'altro si guardò intorno, come se lo stesse cercando da qualche parte «... credo l'abbia preso il cane.»
Il giovane alzò gli occhi al cielo, seppur col sorriso «Non è indispensabile.» concluse cercando di sistemare il dispositivo in modo che non cadesse.
Fatto ciò avviò il programma ed iniziò a sistemare tutte le impostazioni, sotto un paio di occhi ammiranti e curiosi al tempo stesso. Passarono pochi minuti prima che aprisse un file ed uno spartito comparisse dinanzi agli occhi dell'uomo, nero su bianco.
«Quindi ora...»
«Premi una nota, e lo spartito scorre.» spiegò interrompendolo, prima di dimostrarglielo. Guardando con attenzione le prime note, suonò in ordine i tasti corrispondenti sul piano, mentre le note corrispondenti sullo schermo si illuminavano una dopo l'altra. «Capito?»
L'altro annuì, meravigliato «Non so come farei senza di te» gli scompigliò i capelli affettuosamente, guardandolo negli occhi «Grazie, Deimos.»
Il figlio sorrise appena, stranito «Figurati.» per lui era così semplice, a volte si sorprendeva di come il padre potesse emozionarsi per così poco... però dopo un po' capiva.
Quando l'uomo iniziò a premere le dita sui tasti le note si diffusero armoniose per tutta la casa. Fu in quel momento che Deimos, osservandolo attento e restando al suo fianco, capì che quella era una delle piccole cose di vitale importanza per lui, e si commosse come solo suo padre gli aveva insegnato a fare.
Perché quello era uno dei pochi momenti in cui Ares udiva qualcosa, tramite la memoria, tramite i ricordi... uno dei pochi momenti in cui sentiva la stessa identica cosa che sentiva suo figlio, in cui entrambi, grazie a quelle note, si legavano l'uno all'altro indissolubilmente.-
"Questa storia partecipa a #TheWritingWeek di Fanwriter.it"
» Day 6
» Lista: PERSONALIZZATA
» Prompt: Ares
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#TheWritingWeek
Short StoryChe succede mettendo insieme una scrittrice che non scrive più da tempo ed una writing week sfiziosa e stimolante? Questo. Saranno 7 racconti collegati da un unico filo conduttore: un personaggio attorno a cui gira l'intera vicenda. Non penso di pot...