Capitolo sette 🦈

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L'acqua da che ne avevo memoria era sempre stata capace di rilassarmi in un modo impossibile da spiegare a tutte quelle persone non particolarmente amanti del nuoto.
Quando avevo un preoccupazione mi bastava infatti immergermi completamente, fino a toccare quasi il fondo, così da isolarmi da tutto il resto del mondo.
Sotto l'acqua non arrivavano bene i suoni e alcune volte nemmeno i problemi.
In quei pochissimi minuti di apnea mi sentivo libera e in pace con me stessa, ma non quel giorno, non quel sabato, non un giorno prima delle cena a casa mia con quel ragazzo dai capelli color vinaccia; quello che da quando era tornato non aveva saputo fare altro se non darmi grattacapi che non avevo nemmeno poi tanta voglia di gestire o anche solo contemplare.
Solitamente quando tornavo a casa lo facevo quasi sempre di sabato mattina, ma quel giorno avevo deciso di restare per un allenamento speciale.
Era stato organizzato da alcune ragazze del mio club allo scopo di migliorarsi in vista delle gare e come capitano della squadra non avevo potuto fare altro se non accettare per prima.
Il ritorno a casa era stato rimandato per quella stessa sera, subito dopo l'orario concordato per la fine e ovviamente a seguito di una bella doccia calda per togliermi il cloro di dosso.
Non mancava molto al momento di andare via dalla piscina al coperto della scuola e avevo deciso di prendermi quegli ultimi minuti per andare un po' verso il fondo, approfittando del fatto di essere rimasta l'ultima ancora in acqua.
Tuttavia quella volta stava andando diversamente rispetto alle mie aspettative: l'immersione non mi aveva infatti aiutata. Anzi, mi aveva immersa in un silenzio capace di rendere ancora più acuto il suono rimbombante dei pensieri disordinati e confusi che affollavano la mia mente in quel momento.
Era infatti da quando mia madre aveva organizzato quella folle e scomoda cena che non avevo fatto altro che rimuginare sulla faccenda, cercando di trovare una scusa per svignarmela da quella situazione, tuttavia senza riuscire a trovare nulla di abbastanza convincente.
Avevo ad esempio valutato di inventare un malanno tale da rendere necessaria la mia permanenza in dormitorio, ma conoscendo mia madre sarebbe stato come buttarsi a braccia spalancate tra le fiamme dell'inferno.
Era infatti la donna più apprensiva del pianeta, capace di prendere un banale raffreddore come un cataclisma di proporzioni bibliche.
Me la immaginavo già precipitarsi col primo mezzo a disposizione fuori la porta della mia stanza, armata di termometro, brodo caldo e chissà quale altra diavoleria per le mie cure.
Avevo quindi scartato immediatamente l'opzione, così come era venuta.

Dovevo solo arrendermi al mio destino e fare buon viso a cattivo gioco, sperando di riuscire a concludere la serata del giorno dopo il prima possibile e senza arrabbiarmi troppo.
La vedevo dura, molto dura.

• • • •

<<Hai finito di apparecchiare la tavola? Hai controllato la lucentezza dei bicchieri? Non sono opachi, vero? Secondo te queste pietanze basteranno per saziarlo? I fiori a centro tavola non sono appassiti, vero? Hai messo l'acqua?>> mi chiese a raffica mia madre, notando l'orologio segnare solo quindici minuti prima dell'orario concordato per la cena.
<<Mamma, deve venire a cena Rin, mica l'imperatore Naruhito. Rilassati, va tutto bene e tu hai cucinato per un esercito, non per tre persone. Fidati, ci mangiano venti Rin Matsuoka con tutta quella carne>> risposi io, lisciandomi nervosamente la maglietta che avevo scelto di indossare quella sera.
Mia madre aveva cercato di convincermi in tutti i modi ad indossare un abito da lei stessa comprato in onore di quella cena, ma avevo rifiutato fortemente. In primo momento notando l'orrore che era quell'abito, pieno di fiocchetti e merletti, in secondo luogo perché nemmeno morta mi sarei ridotta a farmi bella per quell'antipatico rimpiazzo del mio vecchio amico d'infanzia.
Quello non era Rin, era un'altra persona e non sentivo di avere qualcosa da spartire con quella pallida imitazione farlocca.
<<Dici? Lo pensi davvero? Potrei mettere a cuocere altra carne di manzo>> propose.
<<Bontà divina, assolutamente no. Hai cotto tantissime cose. È già abbastanza imbarazzante così e->>
Mi bloccai, sentendo l'inconfondibile suono del campanello di casa nostra. L'ultimo suono che desideravo sentire in quel momento, per di più con almeno dieci minuti di anticipo.
<<Vai ad aprire la porta>> disse mia madre.
<<No, vai tu>> ribattei io.
<<T/N, vai ad aprire quella porta o giuro che questa sarà l'ultima cena che vedrai preparata da me per te>> mi minacciò lei.
<<Dittatrice>> borbottai tra me e me, iniziando a camminare verso la porta d'ingresso.
Prima di aprire presi un bel respiro profondo e poi la spalancai di getto, facendo sussultare il ragazzo fermo davanti la soglia.
La prima cosa che notai, oltre alla sua espressione sorpresa, fu il bel mazzo di fiori stretto nella sua mano destra.
<<Fai sul serio?>> chiesi, fissando la composizione con un sopracciglio alzato.
<<Non sono per te, sono per tua madre>> rispose secco lui, deviando lo sguardo altrove.
<<Questo l'avevo capito, idiota. È solo che lei ti aveva detto di non portare nulla e sai anche tu che adesso inizierà con una sequela infinita di frasi per dimostrare la sua indignazione per esserti scomodato e bla, bla, bla>> dissi io <<adesso entra, dai.>>
Mi scansai di lato per farlo passare e lui si prese qualche secondo per studiare l'ambiente di casa mia, in verità cambiato ben poco dalla sua partenza. Se non per qualche nuova fotografia sulle pareti del corridoio, testimoni della mia crescita, e un tavolino con sopra una ciotola per svuotare le tasche.
<<Mamma ti ha preparato queste pantofole. In verità le ha comprate esclusivamente per te, ma non dirle che te l'ho detto. Mi ha addirittura chiesto di chiedere ad Haruka e gli altri il loro numero di scarpe per regolarsi su quale numero comprare. È pazza.>>
Per un secondo mi sembrò di scorgere l'ombra di un sorriso sul viso del ragazzo, ma poi entrambi sobbalzammo, recuperando velocemente la nostra rigidità.
Mi ero infatti appena resa conto di stargli dando davvero troppa confidenza, come due vecchi amici che non si erano mai lasciati.
Lui non era mio amico, non più. Era solo il bambino che era scappato senza avvisare e che era tornato una volta adolescente, comportandosi fin da subito male con me e con i miei amici.
Non era come il Rin del mio passato e non potevo permettermi di ironizzare con lui come ero solita fare cinque anni prima.
Persa in quei pensieri osservai il ragazzo scivolare velocemente dalle sue scarpe alle pantofole rosse prese appositamente per lui, leggermente grandi a dir la verità, per poi appendere la sua felpa nell'appendiabiti all'ingresso, fino a restare semplicemente con una maglietta nera che mostrava il nome di una band. La stessa che era solito ascoltare da bambino e che piaceva ancora un sacco anche a me.
La vista mi causò una piccola fitta di nostalgia, ma che tuttavia riuscii a reprimere subito.
<<Seguimi>> dissi fredda, iniziando a fargli strada lungo il corridoio.
La serata poteva dichiararsi cominciata.

 ꓴӄ౹ყ꤀ || Rin Matsuoka x ReaderDove le storie prendono vita. Scoprilo ora