Cap 3. Amnesiac

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Caught in the frame work, dying to belong
Escape the Wasteland
Don't forget who you are
Amnesiac

Don't let the world revolve around you
Don't wait another day to re-erase your memory
Amnesiac

Don't let the dream dissolve without you
The more you know, the more they hold you back
Amnesiac

Fu l'odore di marcio che le inquinò il naso a svegliarla. Non che "sveglia" fosse la parola adatta a descrivere il suo stato. Non avrebbe saputo dire dove fosse o perché, l'unica cosa che ricordava da quando era entrata nel blindato era che le avevano iniettato qualcosa. Probabilmente una dose da cavallo di narcotico, a giudicare dalla nebbia che aveva in testa. Sentì la guancia a contatto con una superficie fredda ed umida e capì di essere sdraiata prona. Cercò di alzarsi, ma le risultò molto complesso. Sentiva dolore alla schiena ed un intorpidimento generale e, come se tutto quello non bastasse, capì di essere legata. Non poteva alzarsi, non poteva neanche voltarsi. Osservò le catene intorno ai polsi, erano assicurate ad un anello incastonato nel muro ed erano fermate da un lucchetto grosso quanto una delle sue mani. Le sembrò ridicolo. Improvvisamente sentì la porta aprirsi alle sue spalle, ma non si voltò. Aspettò, senza nascondere il fatto che fosse sveglia. Alla fine, non era difficile comprendere la situazione. Probabilmente si trovava in un buco dimenticato da Dio, in qualche scantinato dove i servizi spagnoli portavano le persone per torturarle. Non era neanche difficile comprendere il destino che la attendeva, ma in fondo se l'era immaginato e sapeva che sarebbe andata a finire così. Aveva deciso che le stava bene nel momento in cui aveva mandato a fanculo quella stronza di Sierra.
- Sei sveglia, tesoro! -
Ah. Beh, in fondo, parli del diavolo... La aveva riconosciuta dalla voce e decise di non voltarsi, nemmeno quando la sentì sedersi su una sedia accanto a lei.
- Non sei molto accogliente con i tuoi ospiti, Lisbona. Girala! - ordinò a qualcuno.
Si sentì strattonare per le spalle e qualcuno la obbligò a voltarsi sulla schiena, schiacciandola violentemente contro il pavimento irregolare. Ma perché le doleva così tanto la schiena? Sussultò, ma proprio non capiva. Era come se fosse ferita, ma non riusciva a ricordare.
- Ehi, ti sembra il modo di trattare una signora? - disse Sierra con un tono indispettito, ma palesemente falso.
Cazzo se poteva essere stronza. La più grande stronza sulla faccia della terra. Tuttavia si rifiutò di guardarla in faccia. Ma poi, era ancora incinta, dopo tutto quel tempo? Dopo tutto quello stress?? Ah ma forse risolvere le rapine non le provocava affatto stress, ecco perché. Del resto, ci si potrebbe aspettare qualcosa di diverso da una stronza così?
Forse la stava insultando troppo però. O forse, la dose di narcotico che le avevano somministrato era veramente da cavallo.
- Sai perché sei davvero fottuta, Raquél? Perché a differenza di tutte le altre persone che sono passate di qui, tu non uscirai mai.. Perciò, non devo per forza fare tutte quelle cose, odiose, come il non lasciare segni. Diciamo che nessuno ti vedrà mai più, perciò, non interessa a nessuno il tuo aspetto, mi sbaglio? -
Lisbona ancora non la guardava in faccia, ma dentro di sé ebbe un tremito.
E Alicia se ne accorse. Un sorriso affiorò sulle sue labbra.
- Hai vinto una battaglia, ma non vincerai la guerra. Ma, se anche mi sbagliassi e la tua banda di depravati capeggiati dal Professore autistico dovessero uscire vivi dalla banca... Beh, tu non uscirai viva di qui, puoi starne certa. -
Lasciò che il silenzio rendesse ancora più pesanti quelle parole.
- Ti stai chiedendo perché ti fa male la schiena? -
Le sventolò davanti una piccola fotografia di polaroid. C'era una donna, sdraiata in una cella buia, con la schiena nuda. E sulla schiena degli squarci, come se fosse stata graffiata da degli artigli. Solo che con molta probabilità non erano stati artigli, ma una corda, o una cinghia... Cercò di fermare il pensiero, non voleva nemmeno immaginarselo. Ma fu la memoria a continuare il lavoro, perché ricordò di come ci era arrivata in quella cella.
Le frustate, le cadute. Le mani che la rialzavano. E poi di nuovo, e di nuovo. Fino a svenire. Per lo meno avevano avuto la decenza di rivestirla.
"Rivestirla".
Aveva il busto coperto solamente da una fasciatura e realizzò di essere in mutande. L'umiliazione più totale.
Una lacrima solcò la sua guancia, ma non fece in tempo ad arrivare all'orecchio che una lama fredda ed affilata fermò la sua corsa. Sierra raccolse sadicamente quella lacrima, senza ferirla però, e la osservò soddisfatta.
Poi, guardò l'uomo che era stato nella stanza per tutto quel tempo, gli fece un cenno e dichiarò, con un sorriso enorme:
- Apriamo le danze! -

Non sapeva quanto tempo era passato.
Ore.
Giorni.
Ma indubbiamente doveva essere trascorso tanto tempo.
Perché non si può infliggere tanto dolore ad una persona in poco tempo.
Non è umanamente possibile.
O forse, era proprio questo il problema. Quella donna non era umana.
Aveva perso il conto di tutte le torture che le aveva inflitto. La cosa peggiore era quando un uomo le copriva la faccia con un panno bagnato ed un altro le versava sopra dell'acqua. Ogni volta era come affogare. Aveva perso il conto anche delle volte in cui era svenuta, e di quelle in cui l'avevano svegliata. Per affogarla di nuovo, e di nuovo.
- Dov'è il Professore - diceva Sierra.
E lei non rispondeva.
E loro l'affogavano.
E ancora, e ancora.
Aveva scoperto che poteva fuggire però, con la mente. Andarsene lontano da quel luogo e non soffrire. Come se non fosse davvero lì.
Le avrebbero tolto la vita, ma non le avrebbero tolto l'identità.
Non le avrebbero tolto i ricordi.
E così, ogni volta che affogava, tornava a quando lei e Sérgio avevano fatto il bagno vestiti. A quando avevano fatto l'amore nel mare. E l'acqua diventava un po' meno nemica. E si dimenticava che stava affogando. Il suo corpo si dimenava, i suoi polmoni urlavano, ma la sua mente sorrideva, e dentro di lei continuava ad esserci vita.
Sarebbe morta, ma avrebbe vinto. Lo capiva da come Sierra la guardava, che la stava battendo. Non stava soffrendo e questo per lei rappresentava un terribile fallimento. Stava lì, seduta sulla sedia ad accarezzarsi il pancione mentre qualcuno faceva il lavoro sporco al posto suo.
Finché, non si stufò.
- Senti figlia di puttana, non parli? Ok, ammetto che mi sarei aspettata che cedessi sai, non credevo che quel Professore ti avesse ammaliata fino a questo punto. Adesso è ora di fare sul serio -
Si inginocchiò goffamente al suo fianco per sussurrarle all'orecchio.
- Inizierò dalle braccia... poi scenderò, sull'addome. E se ancora non avrai parlato... Potrei pensare di rovinare quel bel faccino che tanto ha fatto innamorare il tuo genio. Ma tanto, non importerà a nessuno, o mi sbaglio? -
Le piantò la lama del coltello nell'avambraccio ed iniziò a tagliare. Sapeva cosa stava facendo. Niente vene che avrebbero potuto compromettere la sua vita, per ora. Ma un dolore assurdo, quello sì. E per la prima volta da quando si era ritrovata in quel buco, Lisbona emise un lamento.
Poi fu il turno del petto. Sierra si era decisa a sfregiarla per bene. Tentò disperatamente di non urlare, rifugiandosi di nuovo nella sua mente. Ma ora era più difficile, era diverso. Era stanca. E soprattutto, era presente, e il dolore vivido.
Ma quando fu il turno del volto, non resistette più. Alicia le stava schiacciando con una mano la faccia contro il pavimento e continuava a ripeterle
- Non muoverti! Potrei sbagliare! -
Non sapeva nemmeno dove stava incidendo la lama, perché ormai il dolore si era fatto pressante in tutto il corpo. Le bruciava tutto. Le mancava l'aria, forse per le urla, forse per i singhiozzi.
Dopo attimi orribili ed interminabili, finalmente Alicia si alzo, con aria soddisfatta. Le sorrise, si voltò, e senza dire una parola uscì. Gli uomini che l'avevano affogata fecero per seguirla, ma Alicia ne fermò uno e le disse qualcosa che Lisbona non capì. Lui si avvicinò con aria insicura e la fissò, senza fare nulla. Lisbona non riusciva nemmeno a distinguere il suo volto, aveva la vista annebbiata ed era come se ci fosse un velo tra lei ed il mondo.
- Allora?! - la voce di Alicia risuonò dal fondo della stanza. Ancora non se ne era andata?
Il pugno arrivò come se fosse stato un mattone. La colpì in pieno volto, dove Sierra aveva appena finito di tagliarla.
Il dolore fu talmente forte, che tutto divenne nero.
Finalmente.
Un po' di riposo.

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