Capitolo Sei

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Che gli venisse un colpo, quello era il tizio con cui aveva visto la fanciulla al museo. Non poteva essere una semplice coincidenza. Probabilmente, il posteriore maschile esibito a tutta la 14ª, apparteneva a lui. Tuttavia, Dylan, non poteva certo dirlo con certezza, i suoi occhi erano stati occupati, insomma, a fantasticare su altro.
«Io ti conosco, amico.» Mormorò il musicista, mentre il giovane dalla pelle olivastra gli schiacciava contro il petto un bicchiere traboccante di birra. «Certo che mi conosci, figliolo. A New York la la strada è uno spettacolo di facce. Ognuno è lo spettacolo dell’altro.» Giorgio buttò giù tutto d'un sorso lo shot di tequila e fece l'occhiolino ad uno splendido marinaio del Venezuela; inguaribile beatnik che non sarebbe mai salpato alle volte delle terre lontane d'Oriente senza un libro di poesie di Allen Ginsberg.
Dylan era schietto, diretto, genuino e non era mai riuscito ad esercitare controllo sulla sua lingua, straordinariamente lunga per un ragazzo così esile e armonioso. «Ti ho appena visto il culo, Tony Montana.»
L'italiano, di fronte a tale trasparenza, autentica impertinenza, non poté che sorridere. Quel ragazzino arrogante del Midwest, dagli occhi talmente azzurri da potersi confondersi con il cielo visto dalla baia di Montauk, aveva un qualcosa di atipico, peculiare, che non poteva che suscitare ammirazione in chi lo incontrava.
«Giorgio Savio» il giovanotto latino tese la mano al bandito del Minnesota, il quale ricambiò dopo un breve momento di esitazione. Quando capì di essersi guadagnato una sorta di tacita fiducia, Giorgio aggiunse: «Credo di sapere dove si trova ciò che stai cercando, Midwest.»

Johanna, sedeva sul davanzale esterno della finestra che dava direttamente sul tetto, le scarpette poggiate sulla lamiera e il posacenere vicino alle gambe sinuose, scoperte, scolpite con fragili calze rotte tenute da un'innocente giarrettiera nascosta dall'orlo del vestito, estremamente corto. Mentre la brezza autunnale le scompigliava i ricci ramati, arrivando fino a sotto la sua calda e invitante pelle, conversava con Grace e un tizio che non aveva mai visto in vita sua ma che diceva di essere l'esponente del Free Speech Movement dell'università di Berkeley, in California.
Grace, capelli corvini che abbracciavano il carnato chiaro facendola somigliare ad un'autentica figura di ceramica, tempestava di domande lo studente, curiosa di sapere come andassero realmente le cose nella Terra del Sole. Si diceva che a San Francisco, precisamente ad Haight-Ashbury, stesse nascendo una comunità di hipster che viveva in pace e amore, mettendo in pratica principi buddhisti e di antiche discipline che incoraggiavano ad avvicinarsi alla natura.
Johanna ascoltava interessata, cercando di far tesoro di ogni informazione, arrivando a consumare metà del pacchetto di Camel appena acquistato senza neanche rendersene conto. In quel periodo, fumava talmente tanto da accendersi la sigaretta con il mozzicone della precedente. C'era così tanto di cui scrivere, cantare, comporre che non le notti non potevano essere sprecate per dormire.
«… Berkeley è un casino, dovete fidarvi. Poliziotti ovunque, manifestazioni continue, manganelli, spari, bang, un ragazzo cade ferito, l'altro viene trascinato via come se fosse un animale da mandare al macello. Anarchia totale, dovreste vederlo con i vostri occhi!»
Grace si avvicinò un altro poco al ragazzo, le lacrime scorrevano sulle guance di porcellana, toccata e commossa non vedeva l'ora di sentire altre storie, che la rendessero orgogliosa della sua generazione. Tuttavia, quando il californiano stava per cimentarsi in una nuova cronaca della sua università, la botola che collegava il tetto all'androne della scale si aprì.
Johanna si strinse nel giacchetto di jeans, gli orecchini che tintinnavano carezzati dagli aliti di vento che abbracciavano la sommità del Village, e rivolse immediatamente lo sguardo nella direzione della porticina in apertura, come se il suo inconscio sapesse che lei era in attesa di qualcosa, di qualcuno. Un'altra sigaretta tra le labbra, macchiata di scarlatto, mentre gli occhi dorati splendevano come fari nella notte.
«Giorgio!» Gridò Grace emozionata, correndo con enfasi incontro all'amico, abbandonando lo studente di Berkeley nel ben mezzo della conversazione. Tipa insolita Grace.
«Grace, lui è Dylan. Un tizio del Midwest che dice di saper cantare le ballate degli Appalachi e i blues del Mississippi.».
«Piacere Dylan, che begli stivali!» la ragazza dai capelli corvini gettò le braccia al collo del forestiero, e lo baciò due volte sulle guance.
«Conosci il Saṃyuktāgama
Giorgio scoppiò a ridere, mentre Grace spalancava gli occhi chiari come le lastre di ghiaccio dell'Alaska, nella speranza che il nuovo arrivato fosse un discepolo dell'ascete indiano Siddhārtha Gautama.
«Grace, la vuoi smettere di spaventare le persone con le tue farneticazioni sul Buddhismo?» Johanna apparve da dietro le spalle vigorose si Giorgio, come un angelo appena disceso dal cielo. Il vestito sospinto dai lievi, dolci aliti di vento e i ricci raccolti sulla nuca ricadevano gentilmente sul viso; le iridi ambrate, incendiate d'oro di Bisanzio, riflettevano la luce argentea della luna, imbevuta d'elettricità dei grattacieli che bussavano sulle porte del firmamento.

Dylan sorrise, dimenticò perfino di essersi trascinato la chitarra fin lassù, sulla Piramide del Sole di Teotihuacan. «Hai perso la parola, Midwest?» le parole avevano un suono troppo amaro per essere plasmata da labbra così soffici. Il ragazzo la trovò ancora più attraente.
«Non posso che tacere di fronte a un tale spettacolo.» Dylan indicò il paesaggio fruibile dal tetto, affacciato sul Greenwich Village e dal quale in lontananza si potevano vedere i grattacieli della downtown. «Abbiamo capito tutti la metafora, Midwest.» Giorgio gli passò il vigoroso braccio attorno alle spalle, e Grace si mise sulla punta per dargli un altro lieve, casto bacio, come quello di una sorella al fratello.
«Johanna Zimmerson, ma chiunque non sia repubblicano può chiamarmi semplicemente Jonie.»
«Se fossi repubblicano?»
«Non saresti qui. O meglio, potresti anche esserci, ma con un arto in meno.» Ironizzò Giorgio, cercando il pacchetto di sigarette nella tasca dei pantaloni bianchi in fibra di juta.
Dove vai, tu, America, la notte, nella tua piccola macchina scintillante?
I capelli ramati di Johanna scompigliati dal vento, il bellissimo Giorgio che illuminava la notte con un fiammifero, Grace che saltellava impaziente mormorando frasi senza senso del tipo «Possiamo tenerlo?», «È talmente carino, non è come tutti gli altri campagnoli che abbiamo conosciuto!». Improvvisamente, rapito dal fervore della città, Dylan capì che tutto quello che venne predicato dai greci in poi era sbagliato. Non si arrivava da nessuna parte con la geometria e i sistemi geometrici di pensiero. Era tutto laggiù, a New York.

«Da dove vieni, Dylan?» Johanna gli si parò davanti, ostruendogli la vista sui grattacieli.
«Se andrai oltre le strade sfavillanti troverai il buio, e oltre il buio il West.» scherzó il ragazzo, con il solito tono beffardo che gli aveva procurato tante grane. Jonie sorrise, Grace ululò alla luna e Giorgio lo strinse talmente forte che gli parve di sentire le costole infrangersi. Quei tre, pensò Dylan, erano totalmente pazzi, ardenti di follia. «Minnesota, sono nato in Minnesota.»
«Benvenuta a New York, Minnesota!»
«La città che non dorme mai.» Aggiunse Grace orgogliosa. «Dobbiamo festeggiare…» mormorò Jonie, partendo a corsa verso il cornicione, la gonna che accompagnava sinuosamente i suoi movimenti, scorrendo dolcemente sulle cosce morbide, levigate, sensuali. «Forse la vita è questo…un battito di ciglia e stelle ammiccanti» Flfarfugliò Dylan, ipotizzando dalla flessuosità del corpo della fanciulla.
«Stanotte, consacreremo le strade del Village, ci faremo benedire dal suo sacerdote, Washington Square, e verremo battezzati dalle luci dei locali che si affacciano sulla 14ª.» sospiró Johanna, sporgendosi dal cornicione, sorridendo ai ragazzi che ballavano motivi jazz in mezzo alla strada. Giorgio e Grace si fecero da parte e rimasero vicini alla finestra, a far compagnia allo studente californiano che, rimasto solo, si era messo a scrivere appunti sulla frenetica società newyorkese. New York la città più bella del mondo? Non è lontana dall’esserlo. Nessuna notte urbana è come la notte lì.


Spazio Autrice: ecco il nuovo capitolo, cosa ne pensate?
Buona serata! ❤

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