La società contemporanea è vile e spietata e purtroppo ancora esistono gruppi di persone che sono vittima di emarginazione sociale. Prestandoci attenzione non è possibile individuare una vera e propria categoria soggetta all'esclusione: se ci fermassimo un momento a ragionare potremmo sicuramente notare che nella società odierna esistono tantissime sfaccettature di «vinti». Tuttavia, ogni motivo di esclusione converge in una stessa conclusione: una persona (che sia maschio o femmina, alta o bassa e potremmo continuare all'infinito) è vittima di esclusione nel momento in cui si trova ad esprimere delle idee che non sono conformi alla morale o semplicemente al pensiero comune. Tutto questo, come direbbe la maggior parte delle persone, è vergognoso. Viviamo infatti in un mondo in cui sono costantemente promossi importanti valori quali l'amicizia, la solidarietà nei confronti della comunità e soprattutto il rispetto altrui. Siamo tutti in un mondo in cui ci troviamo indifesi in un periodo storico che possiamo definire «particolare» (il 2020) e in cui si è formata una fitta rete di reciproco affetto attraverso un banalissimo schermo di un comune smartphone. Eppure ognuno di noi è abituato quotidianamente a sentirsi umiliato di fronte al rifiuto di un proprio progetto o alla soppressione di una propria idea (di qualsiasi natura essa sia). A chiunque sarà capitato di essere deriso dalla collettività, talvolta offeso. A tanti, invece, sarà capitato di aver subito una tale umiliazione da doversi assolutamente celare dietro alla propria persona, rendendo uno scudo il proprio corpo. Quando succede quanto appena spiegato, la società ha perso o un pazzo o un uomo che stava costruendo il proprio gradino della scala per l'evoluzione e il successo del mondo. Il pazzo vivrà nella convinzione, l'altro uomo nella paura e la società sarà pronta a distruggere tutto ciò che non si modellerà alla cosiddetta «maggioranza». Un esempio concreto? Immaginiamo un'aula con cento persone e tre possibili soluzioni ad un problema: le chiameremo «A», «B» e «C». Ognuno dei cento scriverà su un foglio la lettera che più si conforma alla sua idea di «soluzione» a quel dato problema affiancata al proprio nome e cognome. All'estrazione usciranno ottantacinque «A», quattordici «B» ed un solo «C». Il pazzo darà la vita pur di restare un «C» mentre l'altro uomo a cui si faceva riferimento scapperà dall'aula dalla vergogna (o, sconfitto, si conformerà alla comunità). Ecco gli emarginati della società odierna. Non sono una categoria di persone ma più semplicemente l'insieme di tutte le persone. Accorpandosi in società l'uomo perde la propria unicità. D'altronde, come già detto, a chiunque sarà capitato almeno una volta di trovarsi nella situazione di aver scelto «C». Non è l'uomo a emarginare un altro ma è la società a permetterlo ma soprattutto a garantirlo (non è un caso che impariamo il detto «l'unione fa la forza» sin da bambini). Tutti noi quindi abbiamo un nostro piccolo «terzo spazio» a cui faceva riferimento il critico Romano Luperini nella sua visione della società. Un posto in cui i «vinti» possano divenire «vincitori». Non possiamo aspettarci di averne uno comune, altrimenti finiremmo in un paradosso. «Nessuno può essere libero se costretto ad essere simile agli altri» scriveva Oscar Wilde.

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I «vinti» della società
No FicciónUn breve saggio sul commento critico di Romano Luperini circa la società dei «vinti» descritta nelle opere di Giovanni Verga. Chi sono i «vinti» nella nostra società?