Capitolo 13 - L'ingrata

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Invece no
- Laura Pausini

"Un uomo non muore mai se c'è qualcuno che lo ricorda".
- Ugo Foscolo

Qualche fiore stretto nel pugno e intorno solo silenzio, tipico di quel luogo ma talmente intenso da assordarla

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Qualche fiore stretto nel pugno e intorno solo silenzio, tipico di quel luogo ma talmente intenso da assordarla.

Aurora si era alzata all'alba, aveva fatto colazione al Bar Parisi - per non svegliare un Tommaso addormentato sul divano - e si era convinta che quello fosse il momento giusto per andare a chiedere perdono a qualcun altro.
Ora, che ad ogni modo pareva essere tornata una parvenza di tranquillità nel suo cuore e nei suoi pensieri.
Adesso, dopo aver trascorso la notte avvolta dalle braccia del ragazzo che, troppo tardi, aveva capito di amare.

Mentre stava sbocconcellando il cornetto caldo, accovacciata su una sedia scolorita della caffetteria, aveva anche pensato di avvisare Teresa del fatto che suo figlio si fosse fermato a dormire da lei,  ma la donna, all'udire quella notizia, non le era sembrata sorpresa - forse Tommy glielo aveva comunicato la sera prima - tantomeno felice.
Rory però aveva sorvolato a quella spiacevole reazione, preferendo non aggiungere altro alla sensazione di inadeguatezza che le si era impigliata nel petto.
Sapeva quanto quella signora le volesse bene, così come era consapevole che non le fosse altrettanto semplice accettarla nuovamente nella sua famiglia, pur come amica o conoscente.

Sospirò davanti a quelle paranoie che le si susseguivano nella mente, come un treno in corsa, dandole il tormento.

Spinta da un flebile moto di coraggio varcò il cancello scuro - situato di fronte a lei - e dall'altezza esorbitante che, rispetto a quando era bambina, le appariva un pizzico più basso e meno inquietante.

La quiete che tagliava l'aria non riusciva comunque a rasserenarla, un groppo infatti le serrava gola e i palmi freddi sudavano avvinghiati alla carta argentata che fasciava le gerbere colorate.

Non ci aveva sperato di trovare la bancarella di Maria, la fioraia del paese, aperta alle sette e trenta del mattino, eppure colse quel dettaglio come un segno.

Lentamente percorse una delle stradine che tagliavano in orizzontale il viale alberato del cimitero di Borgo: aveva chiaro dove dirigersi, nonostante non si fosse mai recata lì perché frenata da una mancanza netta di audacia.

Col dito contò le tombe a muro, rigorosamente coperte di marmo bianco, quell'orrendo materiale che caratterizza ogni camposanto e porta il sapore atroce della morte.
Morte che non si riesce ad accettare, perché considerata come un avvenimento troppo grande e inaspettato, troppo invadente per poterlo accogliere senza battere ciglio.
L'ingrata riempie le ossa di cose non dette e di gesti non fatti, logora fino a vedere sbiadire le persone dietro al dolore.

Il loculo che le interessava era il numero sette, con movimenti meccanici gli si avvicinò puntellando i piedi sul terriccio umido.

Non c'erano dubbi, la scritta dorata portava il nome dell'unico supporto del quale aveva goduto negli anni.

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