Capitolo 1

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L'aria nella cabina è calda e soffocante, l'umidità fa si che i vestiti fin troppo pesanti che porto mi si appiccichino al corpo. La leggera puzza di polvere e di aria stantia danno alla testa ma, d'altra parte, non ci si può aspettare di meglio da un viaggio in carrozza durato più di otto ore con i finestrini tenuti chiusi a causa del forte vento che soffia in questo deserto e che con ogni folata solleva ettari di sabbia.
Come se non bastasse l'aria a darmi alla testa mia sorella non ha smesso di parlare da quando siamo usciti di casa questa mattina. Credo che a questo punto nemmeno mio padre o sua madre la sopportino più.
Il continuo saltellare ballonzolare della carrozza fa si che le mie ossa stridano le une contro le altre, corrodendosi, come quelle di chi passa la vita a cavallo, e la schiena e il bacino hanno da tempo cominciato a lanciarmi allarmanti fitte quasi ad ogni respiro di aria viziata che inalo.
Ci mancava solo il trasferimento.
Otto strazianti ore a venire sballottato in questa carrozza con una sorellastra petulante per trasferirmi in una sudicia cittadina di periferia sperduta in mezzo al deserto.
Odio la piega che ha preso la mia vita.
Non che nella capitale le cose andassero meglio, in effetti dopo che sono stato arrestato un nuovo inizio potrebbe farmi bene, no? Ma chi voglio prendere in giro. Sarà un disastro!
Guardo fuori dal finestrino ma la vista della sabbia mi da la nausea.
"Va tutto bene Ilyen?" La voce di mio padre mi distrae dal monotono paesaggio e mi volto per incrociare il mio sguardo con i suoi occhi chiari, così simili ai miei, che mi osservano con cautela.
Annuisco e basta, so che se aprissi la bocca non riuscirei a fermarmi dal dirgli quanto odi questa situazione e so che non sopporterei il suo sguardo deluso. Non ora. Gli ho già dato abbastanza delusioni e so che è preoccupato per me. Le tempie mi pulsano dolorosamente quindi chiudo gli occhi sperando di lenire le fitte e prima che me ne accorga scivolo nell'oblio del sonno.

Quando riapro gli occhi mi ritrovo ad annegare nell'azzurro di quelli di mio padre. Le palpebre sono pesanti da alzare, vedo la bocca di mio padre aprirsi e chiudersi ma il dolore alla testa è troppo forte perché possa concentrarmi su cosa stia dicendo. Mi sento a pezzi, il mio corpo è caldo, bollente, sento i muscoli bruciare e non mi azzardo a muovere un dito.
Il contrasto fra la mia fronte calda e la mano gelida di mio padre mi provoca un brivido che mi scuote dall'interno.
"Cielo Ilyen! Ma tu scotti!"
Un altro brivido mi fa portare le mani alle braccia per stringermi su me stesso alla ricerca di sollievo.
"Vieni, ti porto dentro. Ormai siamo arrivati." Mi aggrappo alle braccia di mio padre quando mi aiuta ad alzarmi. Inizio a vedere le cose più lucidamente e mi rendo conto di essere ricoperto da un sottile film di sudore anche se sono scosso da brividi freddi. I vestiti sono ancora attaccati al corpo in maniera fastidiosa e le piante dei piedi mi fanno male ad ogni passo che faccio.
La luce del sole è la prima cosa che mi colpisce quando esco dalla carrozza, accecandomi e mandandomi una forte fitta alla testa. La seconda è il caldo infernale che subito mi si attanaglia alle membra.
Fuori dalla carrozza ci sono la mia matrigna e la mia sorellastra e, accanto a loro, almeno una decina di persone sconosciute. Una di loro mi colpisce particolarmente e non in senso positivo: un uomo.
E' molto alto e di pelle chiara, non è grasso ma non è neppure magro, di bell'aspetto, capelli brizzolati. Ha le sopracciglia folte e poco curate, le labbra carnose nascoste da un da un grosso paio di baffi. E' ben vestito, con giacca e pantaloni e ricorda tanto uno degli anziani signori di città, uno dei gentili nonni che venivano a prendere i miei amici a scuola quando ancora andavo alle elementari. Una delle figure maschili necessarie nella vita di un bambino e che io non ho mai avuto.
Ciò che mi colpisce non è l'aspetto caloroso e di classe dell'uomo, no. Quello che mi colpisce sono i suoi occhi: sono chiari e lucenti ma non sono come quelli di mio padre, non sono limpidi e rassicuranti, sono tenebrosi, sono tormentati, sono occhi che nascondono, occhi che sanno, che hanno visto più di quanto sia giusto per un uomo.
Sono occhi da cui sento il bisogno di nascondermi.
Ed è proprio quello che faccio distogliendo lo sguardo da quello dell'uomo che continua a fissarmi per uno scomodo periodo di tempo. Come un bambino nascondo il viso nella giacca di mio padre, il disagio di quell'incontro che ancora mi si srotola nel petto.
Interpretando il mio gesto come segno di mancamento, mio padre mi passa un braccio sotto alle gambe e mi solleva da terra. Emetto un verso di disappunto ma sono troppo stanco per lamentarmi davvero.
Sento mio padre dire qualche parola, la vibrazione della sua voce che mi arriva dove sono appoggiato al suo petto e mi culla nuovamente verso il sonno.

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