Duello a senso unico nel cielo

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La mattinata era strana.
Il sole del giorno prima era stato ricoperto durante la notte da una grigia coltre di nubi minacciose, che avevano tratto vantaggio dall'oscurità per anteporsi tra noi e la stella, ma che tuttavia non riuscivano a impedire che qualche raggio solitario riuscisse di tanto in tanto a infiltrarsi tra la fitta massa e accarezzasse il suolo per qualche istante, prima di venire risucchiato nuovamente al suo interno.
Questi e tanti altri pensieri mi tormentavano passeggiando nervosamente lungo la pista, con il timore di un eventuale peggioramento del meteo, mentre con la coda dell'occhio lanciavo occhiate preoccupate ora al cielo, ora all'apparecchio ancora parzialmente coperto dai teli che lo celavano alla ricognizione nemica.
Nonostante dovessi essere sempre pronto per ogni evenienza non riuscivo proprio a star fermo al fianco di quel capolavoro dell'ingegneria appena uscito di fabbrica al quale ero stato assegnato. La vernice sulla fusoliera aveva ancora odore di fresco e nonostante il viaggio per arrivare al fronte, conservava ancora una certa lucentezza; l'elica, in legno leggero ma resistente, sembrava pronta a fendere l'aria ad un mio immediato comando, e le quattro ali del biplano davano l'idea di poter sollevare qualsiasi cosa dal terreno. Avevo avuto modo di provarlo una sola volta, per acquisire dimestichezza con il nuovo mezzo, come era riportato nei documenti ufficiali, e aveva dato prova di prestazioni eccelse rispetto al suo predecessore, ma una cosa era volare in territorio alleato, un'altra era addentrarsi sulla terra di nessuno, soli sopra le linee nemiche.
Il tempo non sembrava dar segni di miglioramento, ma nonostante ciò si decise al comando di effettuare la solita ricognizione, per testare ulteriormente le capacità del velivolo, dicevano loro. In verità, a me non importava, mi bastava tenere in mano la cloche, librarmi libero nel cielo. Il resto non m'interessava affatto.

Mi ritrovai senza quasi rendermene conto seduto al posto di comando, e in un batter d'occhio completai la procedura di decollo e, tirando a me la cloche, mi staccai da terra.
Gli ordini erano di effettuare una ricognizione sopra le linee nemiche, abbattere eventuali mezzi d'osservazione nemici, palloni aerostatici o aerei chenfossero, e tornare all'aeroporto indenne.
Sorvolando le nostre trincee a bassa quota, riuscivo a distinguere le figure dei soldati sbracciarsi verso di mecon grida di gioia che potevo solamente intuire sotto il rombare incessante del motore. Ai loro occhi ero uno dei pochi fortunati che non rischiava una pallottola in testa ogni giorno, al contrario dei fanti di linea, e non li avrei certo biasimati se me ne avessero voluto male. Ma così non era, anzi, il mio passaggio sopra di loro sembrava accendere una speranza, una scintilla di gioia, la sicurezza di avere le spalle coperte da qualcuno lassù in alto, e, benché non fossi in alcun modo una divinità, mi faceva sentire tale.

Lasciandomi alle spalle i nostri, mi addentrai lungo la terra di nessuno, che in quel punto era particolarmente estesa, forse qualche centinaio di metri, forse meno, e presi a sorvolarla al di sotto delle nubi, in cerca di movimenti che attirassero la mia attenzione. Sopra la desolazione del campo di battaglia, lontano dai corpi e dai crateri d'artiglieria, mi sentivo come un alieno venuto ad osservare un'altra civilità, tutto aveva così poco senso, e i ricordi di quando avevo servito in prima linea mi risultavano annebbiati.
Scorsi in lontananza un pallone aerostatico nemico, probabilmente intento a svolgere dei rilievi per coordinare il tiro d'artiglieria. Non dovetti pensarci due volte, mi avventai su di esso dall'alto come un rapace si scaglia su un passero ignaro, e premetti il grilletto, lasciandomi alle spalle un'esplosione di fiamme e fumo nero che per qualche secondo rischiarò l'ombra proiettata dalle nuvole. Pensai all'equipaggio, a quei poveri ragazzi, ma del resto, se avessero portato a termine il loro compito, molte più vite sarebbero andate perdute.
E mentre mi accingevo a fare questi ragionamenti che solo un folle farebbe all'interno di una guerra, una raffica secca di proiettili che trapassò l'ala alla mia destra mi riportò alla realtà come una doccia gelata. Voltandomi, vidi un bagliore metallico riflettere quel che restava delle fiamme dell'esplosione precedente, e immediatamente dopo una nuova raffica sfiorò ancora il mio mezzo.
Il nemico pilotava un triplano con maestria e, qualunque manovra tentassi, non riuscivo a scrollarmelo dalle spalle, ogni virata sembrava anzi portarlo più vicino a me, come se in realtà fosse lui a stabilire la mia traiettoria e si limitasse a stare dietro di me senza alcuna fatica. D' improvviso, con un lampo d'ingegno, mi tuffai in picchiata verso il terreno, quasi a sfiorare il suolo, per poi tirare nuovamente a me la cloche e risollevarmi compiendo un giro su me stesso; con questa manovra avevo infatti più di una volta respinto gli attacchi dei più tenaci avversari.
Ma voltandomi, vidi con rinnovato terrore la figura a tripla ala allinearsi perfettamente alle mie ore sei e premere il grilletto. La prima raffica mancò di poco, la seconda non fu altrettanto sfortunata. Il motore prese fuoco, e in un disperato tentativo di mantenere l'assetto mi abbbassai ancora di quota, ma a nulla valevano i miei sforzi disperati, ormai mi era chiaro che era finita. Mentre mi disponevo per un atterraggio di emergenza nella terra di nessuno martoriata di crateri che avrebbero reso un atterraggio quasi impossibile in condizioni normali, mi girai, per l'ultima volta, verso il nemico. Un raggio di sole era nuovamente penetrato attraverso il grigio e per pura casualità illuminava il triplano nell'istante in cui mi girai. Un brivido, un'emozione che mai avevi provato prima, mi scosse completamente mentre il carrello toccava terra e l'aerro si arrestava lasciandomi miracolosamente illeso: quello che prima avevo scambiato per riflesso, in realtà era l'inconfondibile livrea rossa dell'aereo più temuto e rispettato dell'intero fronte, e chissà, probabilmente anche della guerra. E da lì, sdraiato accanto al rottame in fiamme di quello che una volta era stato il mio aereo, mi sembrava di sentire chiaramente il Barone Rosso, Manfred Von Richtofen, esultare per aver abbattuto l'ennesima preda.

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