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Josephine' s POV


"Piccola... "

"Pensaci Hero..." dico ancora seduta sul suo letto mentre lui cammina nervosamente davanti a me. "Katherine, la mia amata sorella maggiore che stravedeva per me... scompare di colpo dalle nostre vite."

"E' surreale."

"E guarda caso, quando mia madre era in ospedale prima di morire Jace si è trasferito a casa nostra per badare a noi... ma io non c'ero mai ero sempre qui."

"Cioè tu credi che Jace abbia... abbia... abusato di Katherine?" chiede incredulo.

"Non lo so... ma lo scoprirò quando Katherine sentirà il messaggio che le ho lasciato in segreteria e..."

Non ho modo di finire la frase, che qualcuno bussa alla porta e mi ammutolisco.

Hero va ad aprire, ma quando vedo chi c'è dall'altro lato della porta, si irrigidisce di colpo e io con lui.

"Martha mi ha detto che ti eri svegliata..." inizia mio padre seguito da George.

"Ahm... si." Dico semplicemente guardando Hero.

Dovrei correre tra le sue braccia, e rifugiarmici come facevo di solito. Invece ora, paradossalmente, mi sentirei più a mio agio con George.

Perché mi sto comportando cosi con mio padre? Ah già... perché quando ad agosto è tornato a casa e mi ha trovato con un segno rosso sulla guancia ha preferito credere alla stronzata che gli stavo raccontando invece che indagare ulteriormente.

"Lo so che... non è il momento ma... la polizia deve parlarti. Verrà qui oggi pomeriggio. " Mi dice mio padre. "Ma prima... volevo parlarti un secondo da solo."

Mio padre guarda George ed Hero chiedendogli indirettamente di uscire dalla stanza. La cosa non mi entusiasma, visto che mi sento troppo scoperta con lui ma lo lascio fare. Una volta soli, si siede sulla sedia delle scrivania di Hero e poggia i gomiti sulle ginocchia passandosi le mani sul viso.

"Io... io.. non so da dove iniziare."

Lo guardo e mi rendo conto che si sente smarrito. Conosco mio padre, forse meglio di chiunque altro e...

"Cosa vuoi sapere?" domando tranquilla.

"Ci ... ci aveva già provato?"

Silenzio.

"A Los Angeles?"

Silenzio.

"Quando sono rientrato quella sera e avevi quel segno...."

"Si." Rivelo interrompendolo. "Si, quella sera."

"Perché.... Josi perché non me l'hai detto?" chiede tutto d'un fiato.

"Perché non te l'ho detto?" chiedo perplessa corrugando la fronte. "E' entrato nelle nostre vite quando aveva debiti di gioco e beveva come una spugna tutte le sere e dovevo essere io a dirti che non era una persona raccomandabile?"

Mio padre mi osserva in silenzio, e solo grazie ai suoi occhi che ho imparato a conoscere bene, capisco che i suoi demoni interiori lo stanno divorando.

"Dovevo essere io a dirti che non potevi fare affidamento su di lui mentre ti riprendevi per la morte della mamma?"

Zio Jace era il suo pilastro a Los Angeles. Faceva già parte delle nostre vite quando eravamo qui a Londra ma le sue amicizie poco raccomandabili e il suo vizio per il poker l'avevano fatto indebitare fino al collo. E in un momento di debolezza mio padre l'ha fatto riavvicinare a noi offrendogli anche un posto nella società.

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