Una casa è un tesoro, chi la trova se la tenga stretta e chi la ruba la difenda con denti e artigli. In fondo, in questo mondo restano solo le case, siano macerie o forti mura, a lungo non rimarrà nemmeno chi le abita. Ne ho passate tante di abitazioni, una più fredda dell'altra, questa è decisamente la peggiore, ma almeno non è umida, non entra acqua dal tetto e i vicini non vogliono derubarti. Mi chiamano Dail da quando ho memoria, mi è stato affibbiato come nomignolo durante i primi anni di studi universitari. E' comune svegliarsi in un letto, ma a quanto pare ho un amore segreto per le scrivanie ed è qui che apro gli occhi. Di ieri ho ricordi vaghi, accompagnati ad un'insolita sensazione di aver incontrato qualcuno di importante. Avrò passato la notte a vagare per la città e bere, per quanto mi è concesso dal coprifuoco. Insomma, eccomi qua mezzo morto. A darmi uno scossone sono i suoni provenienti dal piano di sopra, tonfi e sbraiti contro il notiziario. Distendo le braccia e riprendo coscienza alla luce del sole. Ho dormito ricurvo su questo pezzo di legno, passo qui la maggior parte delle mie ore a studiare ed ora anche a dormire. Esco dalla stanza e mi dirigo verso il divano in pelle color bordeoux. Il mobile è comodamente arredato e portato dalla ditta Sparklex, il cui logo è stampato a caratteri cubitali. Ho la schiena a pezzi ed un brutto mal di testa mi rimbomba nelle tempie, sul tavolo c'è una piramide di bottiglie vuote. Litri di birra a quanto pare. L'orologio non è favorevole al riposo, sono già in ritardo. Il mio corpo però si è tiepidamente abbandonato alle brame del divano. Lì le ore si trasformano in minuti ed i minuti diventano secondi. La luce è velata da una leggera cappa di fumo, proveniente da un sigaro ancora acceso sul tavolo di marmo. L'unica finestra del piccolo salone è giusto vicino a me, mi basterebbe stendere la mano per aprirla. Che noia però, insomma, quanta fatica ci vuole per muovere un braccio. Una colonia di formiche sfila sul marmo e la mia testa si abbandona al senso cosmico della vita. Al piano di sopra scoppia un litigio tra l'uomo Alpha di casa ed il tranquillo conduttore Beta del notiziario. Mi godo ancora un po l'emozione esistenziale delle urla, almeno finché il tempo me lo permette. Infine riguardo l'orologio e prendo felicemente coscienza che dall'altra parte del distretto sta per iniziare una lezione. Sprofondo quindi ancor più comodamente nelle pieghe del divano, lì socchiudo gli occhi. In fondo penso: "E' solo una lezione". Quella però temo sia la mia lezione ed io sono ancora mezzo morto e privo di sensi. Di nuovo, anche oggi. L'orribile mostro dell'ansia mi investe in pieno. Mi alzo frettolosamente alla ricerca di antidolorifici e tabacco.
Una maglietta rossa è la prima cosa che trovo. I colori del cielo si annuvolano, il sole ha il piacere di nascondersi lassù. Chissà quanti balli di corte e dolci poesie dedica alla Luna, proprio mentre non lo guardiamo. Se dovessi restare qualche altro secondo ad osservare il cielo cadrei in coma letargico. Mi fiondo fuori dalla porta ed ignoro ogni altra distrazione, arriverò così in ritardo che tutti gli altri ritardi mi ringrazieranno per aver evitato loro la brutta figura. Ignoro il saluto della vicina petulante, anche oggi con quel disgustoso vestito rosa a puà. Si racchiude sempre i capelli in un uno chignon anni duemila e mai l'ho vista esprimere una benché minima emozione. Temo dal suo modo di fare che ormai desideri mandarci tutti all'aldilà a fare compagnia al marito
Fuori dal portone del palazzo c'è già una folla immensa. Ognuno preso dalle proprie faccende, non curanti di ostruire il passaggio altrui. La maggior parte è così assorta da non far caso nemmeno al tono di voce. Sento di tutto: commenti sul vestiario, pettegolezzi, vocii ovattati e conferenze lavorative. L'epidemia non ha certo bloccato la società. Da mesi infatti va avanti un virus che impesta la città, questo purtroppo non fermerà il tempo.
Da piccolo indossavo una maschera per imitare i supereroi e le loro incredibili gesta, il male doveva avere paura di me. Tutt'ora la maschera è simbolo di lotta contro il terrore, ma qualcosa è cambiato, forse adesso siamo noi a mascherarci per paura. Tutti ne indossano una, solo io sembro averla dimenticata. Mi muovo lungo il viale centrale della città. Un oceano di rami spogli e malati è visibile da qualunque angolazione, è l'angosciante segno distintivo di questo quartiere. Le finestre delle case sono di un grigio pallido, riflesso del cielo. Davanti un balcone una donna tiene il figlio in grembo. Mi ricorda mia madre, dalle movenze delicate, bionda come lei, come poche ormai. Da piccolo scorrazzavo ovunque e distruggevo casa, mi appendevo ad ogni superficie e rischiavo sempre di farmi male. Insomma, divertimento a non finire per un bambino. Poi però arrivava lei, con quei lunghi capelli biondi, a donarmi la sicurezza di cui avevo bisogno per continuare a divertirmi, per vivere bene ogni giorno. Lungo il cammino ha smesso di essere al mio fianco ed ora si è persa tra i miei ricordi. Ripensandoci, chissà come sta affrontando questo virus? Non credo sia più bionda da parecchio ormai. Probabilmente non è più qui da un po'. Raggiungo a passo di marcia il grande palazzo centrale, sede di tutti gli studi scientifici, esempio di saggezza e cultura per tutti gli uomini del mondo. Le colonne che sovrastano ogni altra casa lo rendono particolarmente maestoso, è il Palazzo dei precursori. I colori non sono dei più accesi, indice di vecchia saggezza e storia inestimabile. Le finestre del facciale sono persino più luminose di quelle adiacenti, riflettono una quantità notevole di luce. Sono create ad hoc da ricercatori impiegati nel campo della rifrazione e dell'illusione ottica. Quanti fondi buttati per qualche lucina in più. La grande entrata centrale è costellata di lapislazzuli, richiamo alle antiche porte di babilonia. Tra il vecchio, il nuovo ed il desolato. Ovviamente sfilo davanti con sguardo basso sul marciapiede, limpido e pulito, finché le insenature non diventano fosse e il luccicante non si trasforma in vecchio e putrido. Appena cento metri dopo il Palazzo dei precursori, c'è una catapecchia in cartongesso. Il tetto della piccola struttura è stato costruito da poco e l'acqua piovano ha fondato la prima piscina sul terrazzo del quartiere. Una breve rampa di scale mi divide dall'entrata della mia facoltà. Sul terzo gradino decido quindi di avviare il telefono, forse nella speranza che nessuno si sia chiesto dove sia finito.
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Dove ci porterà il Tempo?
AdventureQuando mi sono reso conto di non vivere più la vita che desideravo? Ho visto tante storie d'amore bruciare come fiammiferi accesi. Quanti volti sono cambiati nell'infinità eterna del tempo? Avranno un senso queste parole? Tra i cori di disprezzo...