Sun and rain - Kōshi Sugawara

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[f/c] forma capelli, ricci, lisci...

Diamine quanto odi la pioggia. La odi troppo.

Soprattutto se ti hanno sfrattata di casa e tu sei andata dal tuo ragazzo per chiedergli di stare con lui fino a quando non avresti trovato una sistemazione.

Soprattutto se ti sei appena lasciata con il tuo ragazzo e ti sei dimenticata l'ombrello convinta del fatto che non avrebbe piovuto.

Soprattutto se la pioggia, che è sempre protagonista di eventi particolarmente tristi nei film, ti cade addosso mente ti maledici di essere te stessa.
Di non essere abbastanza.
Di non essere come la bionda-occhi-azzurri che hai trovato mezza nuda nella camera del tuo ormai ex-fidanzato, anch'esso senza vestiti indosso.

Ma c'è una cosa bella della pioggia.
Il fatto che le sue gocce si confondano con le tue lacrime.
Entrambe trasparenti. Entrambe tristi.
Io e la pioggia siamo molto simili.
Più di quanto potessi aspettarmi.

Certo.
Trovare un pregio in una cosa triste sarebbe come cercare una macchia chiara in una giraffa piena di macchie scure.
Quindi si può continuare a pensare ai difetti delle cose tristi, almeno fino a quando non vai addosso a qualcuno cadendo col sedere a terra inzuppando ti i pantaloni.

Wow che bella giornata!!
Molto illuminata vedo! Soleggiata! E in cui accadono solo cose belle!!
Già. Sei solo una ragazzina normale come tante altre che è stata appena tradita dal proprio ragazzo.

<<ti chiedo scusa! Non prestavo attenzione a dove andavo!>> la candida voce di un ragazzo ti chiedeva scusa per esserti andato addosso.

Osservasti con attenzione quell'angelo.
Ciocche di capelli argentati che uscivano dal cappuccio del giubbotto.
Un neo posizionato sotto la parte sinistra di due bellissimi occhi marroncino chiaro che gli donavano parecchio.
La sua mano perfetta, senza nemmeno un graffio, protesa verso di te per aiutarti ad alzarti.
E infine un sorriso caloroso, proprio come un raggio di sole, che chiedeva scusa.

<<sei fradicia!! Ti accompagno a casa, forza... dove abiti?>> quella domanda lui te la porse così innocentemente.
Senza sapere la tua risposta.
Tu non avevi più un posto da chiamare casa.
Onestamente non lo avevi mai avuto.

<<non ho più una casa...>> dici quasi in un sussurro.
Lui spalanca quei suoi bellissimi occhi per poi farti indossare il suo giubbotto, indumento che tu avevi lasciato nell'appartamento che avresti dovuto abbandonare subito dopo aver portato via la tua roba.
<<vorrà dire che ti ospiterò io>>

Non conoscevi quel ragazzo.
Non capivi perché fosse così gentile nei tuoi confronti.
Dopotutto non sapevi neanche il suo nome.
Però sapevi che potevi fidarti di lui.
Si vedeva che era un ragazzo buono.
Si vedeva che non voleva farti del male, ma voleva aiutarti.

Ti strinsi leggermente di più nella calda giacca che ti era stata gentilmente prestata.
Ti avvicinasti al ragazzo dai capelli argentati, che ti mise un braccio attorno alle spalle nel vano tentativo di scaldarti almeno un po'.
Stavate camminando sotto la protezione dell'ombrello color pece del ragazzo.
Si sentivano solo i vostri passi riecheggiare per le silenziose e buie vie del paese.
Ogni tanto prendevi qualche pozzanghera in pieno, bagnandoti le scarpe, ma non ci dai troppo peso.
Chiesi poi al ragazzo se potevate fermarvi nel tuo vecchio alloggio.
Lui annuì e ti accompagnò nel luogo stabilito.
Presi i tuoi due borsoni e misi dentro tutto quello che serviva: i pigiami, il tuo intimo e tutti i vestiti, paia di scarpe comprese.
Misi dentro anche il tuo cellulare, con tutti i suoi accessori, come il caricabatterie o la power-bank color legno.

Nonostante tutto, non era colpa tua se l'azienda che possedeva la casa che avevi affittato era andata in fallimento.
Non era colpa tua. Lo sapevi benissimo. Eppure. Qualcosa ti diceva che lo era.
Scacciasti quel pensiero dalla tua mente e finisti di mettere dentro le borse anche il tuo materiale scolastico da universitaria.
Perché si. Eri una ragazza di vent'anni, che frequentava l'università e che si guadagnava da vivere con dei lavoretti qua e là.

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