un cyborg

53 9 3
                                    

Ci pensava a volte, essere un ragazzo fatto di ingranaggi. Ci pensava e si crogiolava nel sogno di poter essere intercambiabile, mutabile, libero.
A volte prendeva un cacciavite e provava ad aprire sezioni del proprio corpo, non riuscendoci finiva a tagliarsi con una lametta di suo padre.
Talvolta incolpa i propri genitori, per averlo creato sbagliato, per costringerlo a sognare di essere un cyborg.
La fantascienza non lo appassiona più di tanto, certo ha visto tutto Star Wars e Star Trek, ma li trova banali.
Ciò che adora è lo steampunk, come nei film di Miyazaki o il cyberpunk, da cui ha preso l'idea del robot.

Se fosse fatto di fili e ingranaggi avrebbe potuto disinstallare il petto femminile per poi applicarne uno maschile. Avrebbe potuto far crescere la barba a comando o avere erezioni.

No, niente di tutto ciò era possibile, o almeno per ora. Ma il per ora lo faceva stare davvero male, il limbo di costante attesa era estenuante.
Aveva detto ai suoi genitori di essere un ragazzo ma loro come mosche cieche continuavano a sbattere contro il vetro di una finestra aperta per metà.
Aveva provato ogni modo, ma alla testa rasata avevano risposto che è un bel trend tra ragazze teenager, quando parlava al maschile fingevano di non aver sentito.

Si sentiva inutile come un robot caduto nell'acqua, si sentiva vuoto come i modellini di cyborg che aveva fatto con della carta stagnola. Sapeva di essere più intelligente della media e vedere i propri genitori comportarsi da stupidi lo inalberava.

Quando ebbe l'idea fu troppo tardi per i genitori intervenire. Si era procurato un set di bisturi da amazon.
Aveva lenzuola e carta assorbente. Aveva comprato pure del betadine e degli aghi da chirurgo.
Aveva seguito video di piccole operazioni ed operazioni più complesse, sapeva di non essere preparato a sufficienza ma mise il bisogno di fronte alla ragione.

Non sono un cyborg ma posso cambiare. Era la frase appesa sulla testiera del suo letto. Posso cambiare, si ripete.

L'operazione venne stranamente bene, senza contare il sangue ed i pezzi di tessuto a terra. I capezzoli erano leggermente storti ma era piatto, e, sorprendentemente, non era svenuto.
Imparò a curare le cicatrici e dopo due mesi iniziò ad andare in giro a petto nudo, in pieno inverno, solo per mostrare la propria opera d'arte.

Sentì di volere di più. Non sono un cyborg ma posso cambiare.
Si fece questo tatuaggio da solo allo specchio, sopra le proprie cicatrici sul petto e lo mostrò con orgoglio ai genitori che, da un anno all'operazione, ne erano ancora ignari e reagirono in modi differenti, tra pianti e botte e frasi inconcludenti da genitori ciechi.

Abbattuto.
Si sente un minuscolo pezzo di latta schiacciato e distrutto.
Ammaccato.
Non è più un cyborg ma un quindicenne distrutto.
Come fanno a non capire?

I cyborg non muoiono, al massimo vanno in tilt.
Ma i quindicenni possono morire, sono fatti di carne, e muoiono proprio quando i sistemi vanno in tilt. È stata una morte veloce, una corda e una trave.
Al contrario di un robot aveva bisogno di amore e comprensione, non è riuscito a trovarli.

Morì il 10 dicembre 2019, nella lapide misero un nome non suo, lo seppellirono sotto la neve. Ma ebbero la decenza di incidere sulla pietra tombale: non sono un cyborg ma posso cambiare. Solo che i morti non possono cambiare.

Fili aggrovigliati Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora