2. Lockdown

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I giorni erano poi passati sempre troppo lentamente, fintanto che non ci eravamo sfiorati ancora una volta negli States: aeroporto di Newark. Tu in arrivo al Terminal A, io in partenza dal Terminal C. Non c'era tempo sufficiente per un rendezvous. E così solo una breve telefonata interrotta dagli annunci del boarding, per poi volare in direzioni opposte, verso continenti diversi. Io con il mio Burberry nel bagaglio a mano, pronto per il freddo all'arrivo; tu con i tuoi bikini preferiti nello zainetto, verso sole, mare, spiaggia.

Ma finalmente poi eravamo riusciti a vederci all'inizio di marzo. Per poco, per un pelo, prima che tutto fosse bloccato. Solo qualche ora a Milano, per un'altra riunione. Subito dopo ero dovuto scappare via, in ritardo per il volo. Come al solito.
Mi avevi aiutato a trovare un taxi che ci aveva messo una vita ad arrivare. Mi scrivevi: "È tardissimo, ma sei sicuro che ce la fai?" e magari speravi che io lo perdessi quel volo. Ma io ero riuscito ad arrivare in tempo. Come al solito.
Priority lane, nessuna coda, security check veloce. Ero incredibilmente tanto in tempo che ti avevo inviato una foto sorridente con uno spritz in mano, nella lounge Lufthansa. "Visto che non hai voluto fare l'happy hour con me, mi bevo un drink qui in aeroporto". Faccine arrabbiate come risposta.

Allora ci eravamo dati appuntamento, ci eravamo detti che ci saremmo visti presto, in America, in Italia, in Germania per quell'evento al lago, lo Schliersee, che ti avevo raccontato e che ti piaceva molto. Avevamo programmato così tante riunioni che nemmeno quelli di Scientology.

E invece il giorno successivo ci siamo svegliati con la sorpresa del lockdown. Tutto chiuso, sospeso. Eravamo bloccati. Impossibile viaggiare, impossibile anche solo uscire di casa.
Quel maledetto virus ci aveva praticamente imprigionato e cancellato una dopo l'altra tutte le tappe che avevamo segnato sul calendario.
Certo, parlavamo, chattavamo. Ci siamo scambiati centinaia di foto e quasi l'intera collezione di emoticons, ma ci mancava quello stare insieme, condividere delle sensazioni tanto forti quanto indefinite a cui avevamo cominciato a dare un senso.

Ora l'emergenza è passata e tutto è ripreso come prima, ma invero nulla è come prima.
Ci abbiamo messo un po' a riorganizzare, le nostre vite, il lavoro, gli appuntamenti.
E a capire come gestire questa dimensione parallela che abbiamo creato, questo spazio speciale nel quale sentiamo il bisogno di rifugiarci, ma dal quale a volte scappiamo per il timore di rimanerci incastrati.
Eppure, questa volta ci siamo davvero. Tra qualche istante ti rivedo.

 Tra qualche istante ti rivedo

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