Capitolo 4.

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Per tutto il tempo del volo non ho fiatato. Non ho nemmeno detto una parola, una vocale, Continuavo a chiedermi perché dopo vari anni ho iniziato a sognare e pensare quello che è successo nella mia infanzia. E' stato terribile sognare quelle grandi braccia pelose che mi stringevano la vita e mi portavano in un luogo estraneo per me, buio, scuro. Ricordo la voce di qualcuno in sottofondo che m'implorava di rimanere con lui e quella bestia mi manteneva ancora più forte rispondendo che non mi avrebbe più rivista quel bambino. Non ricordo più nulla.
Mentre cercavo altri ricordi, che pian piano si accumulavano, i miei occhi guardarono le mie mani e solo in quel momento ho realizzato che John, il mio capo, mi tenne per tutto il tempo la mano. Sussultai e cercai di allontanare la presa, almeno sarebbe stato meno imbarazzante.
John si gira e mi guarda con una certa intensità che mi fa sciogliere.
<<Ehy, come va? Ti sei calmata un po'?>> mormora stringendomi ancora più forte la mano.
Ok, ora muoio. Quant'è bello, cavolo. <<G-grazie e scusa se ti ho fatto preoccupare>>
<<tranquilla piccola. Dopotutto ho un cuore.>> mormora rivolgendomi un tenero sorriso.
Gli do un bacio sulla guancia consapevole di averlo cotto alla sprovvista e lasciandolo di stucco.
<<Allora stasera stiamo insieme?>> mormora maliziosamente.
Pensavo che aveva anche un po' di materia grigia in più nel cervello. Ma oramai..
<<Non ci pensare nemmeno. Per un attimo ho pensato che il tuo lato sexy, donneveniteame, l'avessi dimenticato a casa. Ma invece, è sempre presente.>> alzai gli occhi al cielo per sottolineare quanto sia insopportabile questa cosa.
Socchiude gli occhi e stringe le labbra. Credo che non si sia divertito. Non importa, almeno sono sicura che per tutto il giorno non mi lancerà frecciatine maliziose e a doppio senso.
Arrivati all'aeroporto, ci incamminammo per uscire e iniziai a sentire un po' di libertà. Lo spazio chiuso dell'aereo mi ricorda quel che ho sognato e mi metteva in suggestione visto che avevo dato un bacio al mio capo e gli ho tenuto la mano. Ad esser sincera è stato molto premuroso.
Chiamato il taxi, ci dirigiamo nell'albergo.
Il meraviglioso Hotel Montein, ci accoglie con un meraviglioso parquet, le pareti di un rosso tenue e delle finestre davvero immense che affacciano sulle strade di Seattle. Ci dirigiamo al bancone dove una donna con un caschetto nero e con un rossetto quasi quasi a sgualdrina, ci guarda e ci sorride. O meglio dire, sorride al mio capo. Gli si mozza il fiato quando lui ricambia il sorriso, alzando da un lato le labbra con fare malizioso.
<<B-buon p-pomeriggio, signori. Avete prenotato?>> balbetta e arrossisce così violentemente che ho paura che mi sviene davanti.
<<Sì, due stanze a nome Kyles. >> mormora John.
Dopo aver sorriso, la donnarossettorosso, ci porge le chiavi. Le prendo al volo e mi dirigo verso l'ascensore disgustata dopo aver notato che John gli lascia il numero con un occhiolino. Oh, ma si deve far sempre riconoscere?
Non lo capirò mai.

La mia ancora, il mio ancora.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora