La festa

111 2 0
                                    

Azzurra fissò l'immagine della ragazza riflessa sullo specchio: gli occhi troppo grandi, la pelle troppo pallida, i fianchi troppo larghi... Niente di quella persona le piaceva. E non le piaceva il fatto che quella ragazzetta dalla fronte alta e le gambe storte fosse lei.
Si trovava nella sua camera, di fronte allo specchio, intenta nel decidersi che vestito indossare per la festa.
Sbuffò e prese dall'armadio un'altra maglietta azzurra, se la infilò lentamente, bottone per bottone, ma arrivato al terzo decise che ne avrebbe fatto anche a meno.
Cominciava ad avere freddo alle gambe così si affrettò ad indossare i jeans. Si guardò allo specchio in pantaloni e reggiseno. Be', almeno i suoi fidati jeans addosso a lei non sarebbero sembrati un pugno in un occhio alla festa...
Guardò di nuovo dentro l'armadio, si decise a prendere una maglia scura che non sembrasse né troppo casual né troppo elegante quando sua madre bussò alla porta. Era una donna sulla quarantina, con corti capelli mori, al contrario dei suoi lunghi- e fastidiosi- capelli castani- poco più alta di lei e con qualche chilo di troppo dovuto alle tre gravidanze.
Si affacciò dalla porta, poi attraversò la stanza e si diresse alla finestra. 
« Azzurra, la finestra aperta, con questo freddo! »
Dopo averla chiusa si voltò a guardare la figlia, che nel mentre aveva già indossato la ''stramaledettissima'' maglietta per la festa.
« Vai alla festa così? » le chiese Giorgia, la madre.
« Sì, perché, che c'è che non va? » 
« Qualcosa di più carino, no?»
« Ad esempio? »
Prese il telefono dalla scrivania, controllò che non ci fossero messaggi, e poi se lo mise nella tasca dei jeans.
« Una gonna...non metti mai gonne. »
Azzurra sbuffò di nuovo. Sua madre era fissata nel ''ricordarle la sua femminilità'' e nel dirle che '' se continuava a vestirsi così non avrebbe mai trovato un fidanzato. Come se le importasse di avere un fidanzato!
« Sei entrata in camera mia, ti sei lamentata della finestra aperta e poi mi dici che dovrei indossare una gonna?! »
La madre tornò alla porta e prima di uscire disse: « D'accordo. Ti aspetto in macchina. »
Ecco chi era sua madre. Una pazza maniaca del controllo e nel manovrare la figlia minore come se fosse un burattino. Okay, forse esagerava nel descriverla, infondo a volte era anche molto dolce e premurosa. Molto premurosa. 
Uscì dalla stanza e attraversò la sala deserta. Suo padre era fuori con colleghi di lavoro, la sorella più grande aveva già una casa tutta sua e un compagno e quella sera Marta era con le amiche.
Prese il suo cappotto e uscì di casa; sua madre era già in macchina che l'aspettava. Wonder woman.
Fece un respiro profondo, e dopo essersi autocommiserata nella mente, aprì la portiera dell'auto ed entrò. 

Ad averla convinta ad andare alla festa era stata la sua migliore amica, Caterina, o meglio, Cat per gli amici, e ora che stava per andarci fu sul punto di dire a sua madre di frenare e tornare indietro.
Lei non era tipo da feste, non lo era mai stato, al contrario di Cat. Azzurra amava starsene chiusa in camera con le cuffie alle orecchie oppure a leggere un buon libro, mentre l'amica amava farsi le unghie e stare al telefono con le amiche. Lei aveva una vita sociale, Azzurra no. Era questo il punto. Aveva accettato solo per il semplice scopo di dimostrare al mondo intero che anche lei poteva crearsi una vita da sociale, di una quattordicenne. Non voleva più essere la timida e imbarazzante ragazzina di provincia. Da stasera si cambia.
Le feste natalizie non sarebbero durate a lungo, e lei voleva godersele, santo cielo! Incontrare qualche ragazzo? Certo, perché no! La cosa non le sembrava poi tanto male qualche giorno prima. Ma adesso...
Azzurra, non pensarci, vivi la tua vita e basta con questa autocommiserazione!
Appoggiò la testa al finestrino e guardò lo scenario svolgersi di fronte a sé. Quel posto non era poi tanto male. I prati verdi, i pini, gli abeti, le colline... Cortona davanti a lei sembrava un paesaggio bizzarro, uscito fresco fresco dal Medioevo, con quelle case che da quella lontananza sembravano accatastate tra loro.
Sospirò. Ben presto la campagna lasciò il posto alla città. E già si sentiva la musica della festa.
Ma poi, di chi è la festa? Oh cavolo, a questo non aveva pensato... Appena avrebbe visto Cat, glielo avrebbe domandato. 
Arrivò davanti la casa dove si teneva la festa. Più che una casa sembrava una villa. Presi gli ultimi accordi con sua madre la salutò e uscì. Vai dritta e cerca Cat...,pensò.
Camminò spedita ma quando si accorse che non c'era traccia della sua amica sbuffò. Ovvio, Cat arrivava sempre in ritardo. Decise di mandarle un messaggio: 
'' Ehi, Cat, sono arrivata. Quanto hai tu ad arrivare invece?''
Si guardò un po' intorno, mentre riponeva il telefonino in tasca. La musica era la tipica ''musica da festa'': house e elettronica. Bene, gli invitati sembrano tutti avere meno di diciannove anni... e gli alcolici abbondano.
Scosse la testa. Non doveva fare la guastafeste, non questa sera almeno. Divertiti e basta. Ma ora aveva solo bisogno di un posto in cui sedersi, aspettando l'amica.
Scorse un paio di sedie poco lontano da lì e ci si buttò a capofitto. Attraversò la folla di ragazzi, alcuni che parlavano, ballavano, e coppiette che manifestavano il proprio affetto in pubblico. Ma prendetevi una stanza...
Arrivò alle sedie e si lasciò andare ad una di queste, controllando di tanto in tanto il cellulare. Niente.
« Scusa...»
Azzurra alzò la testa e vide di fronte a sé un ragazzo, sui diciassette anni, in piedi, che aspettava.
Rimase a bocca aperta. Non vorrà mica invitarmi a ballare...
« Quella è la mia sedia. Ti dispiace...?»
Il gruppetto di ragazzi e soprattutto ragazze accanto rideva della scena. Di lei.
Azzurra si sentì avvampare in viso. E lei che per un attimo aveva creduto che lui volesse invitarla a ballare...
« Oh, certo. Scusami, non lo sapevo.»
Si alzò, dando la possibilità al ragazzo di prendere la sedia, mentre quelle stronze ancora ridevano di lei.
Non voleva più restare lì, al diavolo Cat! Scorse un sentiero non illuminato a qualche metro di distanza. Bene, buio: quello che ci vuole.
S'incamminò da quella parte, ignara del pericolo a cui andava incontro.


A una decina di metri di distanza lui aspettava nascosto il suo arrivo, stringendo in mano il collare di un grosso dobermann. Aveva imparato a conoscerla e sapeva ormai che una delle sue fòbie erano proprio i cani di grossa taglia. Ottima arma. Lei si avvicinava sempre di più, mentre la pazienza del cane andava al limite.
Ancora qualche passo e avrebbe sciolto il guinzaglio. Adesso aveva superato entrambi; non si era accorta della loro presenza. Liberò l'animale e con l'altra mano strinse un coltello. 


Un rumore improvviso la fece arrestare di colpo. Lo conosceva, l'aveva già sentito, e non voleva ricordare i dettagli dell'episodio. Il cuore cominciò a battere ancora più forte. Non aveva la forza di voltarsi, ma quando sentì la bestia alle sue spalle muoversi velocemente, cominciò a correre verso il buio, verso il vuoto. Verso il pericolo.
Scappa e non voltarti!, le urlava una voce nella testa. Le diede ascolto, se non fosse stato solo per quel maledettissimo sasso e l'oscurità!
Cadde a terra, battendo la faccia sui sassolini di ghiaia, a pancia in giù.
Raccolse il viso tra le mani, incapace di muoversi, il respiro affannoso, e sentiva dietro di sé l'animale avvicinarsi con cautela. Chiuse gli occhi e non riuscì a domare le lacrime, ma un altro strano rumore la fece rabbrividire.
Passi, passi umani, che avanzavano nella direzione opposta. Un lamento, dei sospiri, percepì il corpo dell'animale cadere a terra. Che stava succedendo alle sue spalle? Quei passi si fecero sempre più vicini, finché non sentì un peso sopra di sé.
Una mano possente le strinse un braccio e la fece girare su se stessa, mentre l'altra mano le tappò la bocca per impedirle di urlare. Azzurra non aveva il coraggio di aprire gli occhi mentre quell'uomo- quella bestia- le stava sopra a carponi. Sentiva il suo fiato sul collo e si irrigidì. Che cosa voleva farle?
Le aveva salvato la vita, anche se non sapeva come avesse fatto, e adesso le stava sopra. Voleva trovare la forza d'animo di aprire gli occhi e guardare il suo aggressore, e quando ci riuscì rimase meravigliata.
Nonostante l'oscurità, lei riuscì a vedere il volto di quell'uomo. Quello che vide subito furono i suoi grandi occhi grigi, profondi come non ne aveva mai visti prima. La barba incolta gli copriva la mascella, folti capelli biondi, labbra perfette e soprattutto quella strana cicatrice sul sopracciglio sinistro che gli conferivano un aspetto quasi...dannato. O divino. Dio mio, è talmente sexy con quell'espressione... Chi sei, angelo? 
« Questo non ti farà male » disse, e il suo accento sembrava una cantilena, una dolce cantilena per le sue orecchie. Un accento straniero, nordico.
L'uomo- era umano?- si mosse per prendere qualcosa dalla tasca. Un fazzoletto? Liberò le sue labbra portandosi la mano che prima le impediva di parlare sulla ghiaia.
Lei intanto rimase a bocca aperta, e sbatteva gli occhi per capire se stesse sognando o fosse tutto vero. Era vero, era reale, e per un attimo fu indecisa se urlare dalla gioia o per chiedere aiuto.
Un attimo troppo tardi perché lui aveva provveduto a farle perdere i sensi.

Non lasciarmiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora