Cap. V Mimesi - Parte II

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Le due ore che trascorsi con Elias furono le più eccitanti degli ultimi quattro anni. Era incredibile quanto una persona pressoché sconosciuta potesse farmi stare bene. Mi sentivo a mio agio, ma, nello stesso tempo, provavo quella tensione che faceva venire i brividi, il desiderio che le nostre conversazioni fossero interrotte da baci e carezze.

Così bevvi l'ennesima birra, lo presi per mano e lo trascinai fuori dal locale appena dopo che il ragazzo ebbe pagato il conto. Avevo garantito a Blue che non avrei lasciato il pub, così mi limitai a restare nei paraggi, in un vicolo sul retro del locale. Mi appoggiai con la schiena al muro dell'edificio che ospitava il pub e attirai a me lo svedese: non vedevo l'ora di sentire di nuovo le sue labbra sulle mie.

Jag gillar dig – mi sussurrò a un tratto, incrociandomi le braccia dietro la schiena e stringendomi di più.

– Anche tu mi piaci – risposi, socchiudendo gli occhi. – Moltissimo.

Me lo aveva detto tante volte anche Lars. Chissà, prima o poi forse gli avrei sentito dire: "Jag alskar dig", "ti amo", ma era morto prima che potesse farlo. E non avrei saputo se fosse mai stato nelle sue intenzioni pronunciare quelle parole.

Mentre Elias continuava a baciarmi quel pensiero prese a rodermi come un tarlo. Ed era insolito, perché in quattro anni si era affacciato alla mia mente solo in rare occasioni.

Sembrava che a ogni bacio rosicchiasse un pezzettino del mio cuore, strappandomi un lamento.

Quando il ragazzo si scostò da me mi guardò con espressione corrucciata. – Shanti, ma che cos'hai?

Io avvertii sulle labbra un sapore salato e fu solo toccandomi le guance che capii di stare piangendo.

– Non lo so – mormorai. – Scusami...

Chiusi gli occhi, schiacciando di nuovo la schiena contro il muro mentre mi giungevano alle orecchie le risate allegre dei passanti.

– Forse non avresti dovuto bere tanto.

– Non mi è mai piaciuto bere – piagnucolai. – Anche se a te sarà sembrato il contrario, è la verità!

Il ragazzo mi scostò una ciocca di capelli da un angolo della bocca, poi piegò la testa per baciarmi di nuovo. – Ti credo – mormorò, accarezzandomi il viso. – Ti credo...

Provai a lasciarmi andare come prima, ma quel tarlo era sempre là, a farsi beffe dei miei tentativi. Era come se la magia d'un tratto fosse svanita. Mi lasciai scivolare a terra e schiacciai la fronte sulle ginocchia. – Perdonami, ti prego – singhiozzai. – Perdonami!

A un certo punto non mi fu più chiaro a chi stessi chiedendo perdono. E nemmeno riuscii a sentire la voce di Elias, persa in un brusio che ingoiava ogni altro suono.

Mentre mi dondolavo con la schiena pregai che quel brusio non si tramutasse d'improvviso in un insidioso silenzio. Se avessi sentito in quel momento il maledetto respiro di Clio mentre moriva probabilmente mi sarei messa a urlare come un'ossessa.

E poi una voce si fece strada con prepotenza verso le mie orecchie. – È tempo di andare, Danzatrice. Alzati.

Lo feci, aprendo gli occhi sul viso di Blue. Il mio Animus mi era accanto e mi sosteneva.

Mentre cominciavo a camminare con la testa che mi girava un po' mi voltai verso Elias. – Ti chiamo presto – dissi, ma il mio tono era più simile a quello di un'implorazione che a quello di un'affermazione. Come se avessi voluto sottintendere qualcos'altro.

– Cerca di stare bene – rispose il ragazzo, alzando una mano per salutarmi. E quel gesto, chissà perché, mi fece piangere di più.

Una ventina di minuti più tardi ero nel mio appartamento.

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