Cap. II Randagio - Parte I

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Il centro storico di Zaragoza, che comprendeva anche la piazza del Pilar dove aveva fatto la sua comparsa lo Speculo, abbracciava tutta la parte antica della città circondata dai resti delle mura romane.

La sera nelle strade del Casco viejo, com'era chiamato, i giovani compivano il loro pellegrinaggio da un bar all'altro, instancabili e pieni di un entusiasmo spesso reso più vivace dalla birra e dal calimocho, a base di vino e cola.

Quando la gente entrava o usciva dai vari locali, la musica si diffondeva all'esterno, dove piccoli gruppi di amici si ritrovavano per fumarsi una sigaretta prima di tornare a ballare o a bere qualcosa.

C'era sempre un'atmosfera allegra: si parlava ad alta voce, si rideva. C'era persino chi accennava qualche passo di danza ascoltando le note che provenivano dall'interno del bar.

Perché mi recassi da sola nei locali, la sera, col rischio di dare l'impressione sbagliata, era una domanda che mi rivolgevo spesso. Ma la risposta era semplice: mentre ballavo ero circondata da persone che, in mezzo a tanto caos e con la musica a tutto volume, non potevano parlare. Potevano solo muoversi più o meno a tempo intorno a me e io avevo l'occasione di immaginare di trovarmi lì insieme alla mia comitiva di amici invece che da sola.

E poi raccontavo alla mia coinquilina Josefa quanto fosse stata animata la serata nel Casco.

Secondariamente, esisteva un'altra ragione: mi piaceva la musica e mi piaceva ballare.

Nessun Danzatore del Sangue poteva chiamarsi tale senza avere il ritmo nelle vene. E, benché non fossi più da anni una Danzatrice del Sangue, sarei rimasta comunque sempre una danzatrice.

Amavo ogni tipo di ballo ed ero abile in tutti. Mi bastava guardare una volta una coreografia qualunque per poi eseguirla alla perfezione.

L'unica cosa che offuscava la gioia che provavo nell'abbandonarmi alla musica era che, ballando, riflettevo continuamente sul motivo per cui non avessi amici veri, in carne e ossa, ma solo fantasie su degli sconosciuti.

Invece di soffermarmi sui lati negativi, passavo in rassegna tutte le cose di me che pensavo potessero piacere agli altri. Partendo dall'aspetto fisico, non si poteva proprio dire che ci fosse qualcosa che non andava: sapevo di essere bella. Non era tanto lo specchio a farmelo capire, le poche volte in cui non lanciavo un'occhiata distratta alla mia immagine riflessa, ma erano gli sguardi della gente. Ovunque andassi, raramente passavo inosservata.

Non che mi dispiacesse, ma a volte – solo a volte – avrei voluto tingere i miei lunghi capelli biondi, fasciarmi il seno come per travestirmi da uomo e camminare un po' curva per risultare più bassa di quanto non fossi.

Comunque, era assodato che non poteva essere il mio aspetto a tenere la gente a distanza. Perlomeno, i ragazzi che incontravo casualmente nei locali sembravano gradirlo particolarmente. Proprio come il tipo biondo che continuava a lanciarmi sguardi ammiccanti a tempo di musica.

Anche i miei colleghi della Fnac i primi tempi erano stati davvero gentili e pieni di premure. Non facevano che ronzarmi intorno, esibendo un sorriso ebete per qualsiasi sciocchezza.

Poi però era cambiato qualcosa.

Mentre mi muovevo al ritmo frenetico della musica da disco-party del bar in cui mi trovavo, continuai mentalmente l'elenco delle mie qualità. Ero un'abile ballerina, ma fuori da qualsiasi locale tale abilità non mi era mai servita a un granché. Parlavo numerose lingue senza accento... e questo poteva essere molto utile se vivevi in un Paese straniero, ma una volta superato l'ostacolo linguistico per socializzare ci volevano ben altre doti.

Ero una ragazza...

D'un tratto non riuscii più ad andare avanti: non mi venivano in mente lati del mio carattere che potessero attrarre la gente. Ero simpatica? A giudicare dal modo in cui nessuno sembrava davvero divertirsi quando aveva a che fare con me, forse non lo ero poi così tanto.

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