Il cuore di Martino era davvero lontano dai pensieri, proprio come quella giraffa del libro.
Una parte di lui era sollevata, l'altra era ancora gelosa, ancora confusa.
Era ancora troppo confuso per tornare a casa, aveva ancora la testa troppo piena di pensieri per tornare da lui. Come si sarebbe presentato? Che cosa gli avrebbe detto?
No, non aveva il coraggio. Non ancora.
La verità è che ancora non accettava l'idea di lui insieme ad un'altra donna. Quella stessa donna che gli aveva riempito la testa di paranoie, di pensieri, di paure inutili. La stessa che aveva cercato in tutti i modi di portarselo via, ora sembrava esserci riuscita.
Forse doveva solo credere alle parole scritte in quella lettera. Quel pezzo di carta bianco chiedeva fiducia. Niccolò chiedeva fiducia.
Da quel giorno in spiaggia, per il suo compleanno, in cui Niccolò gli aveva promesso la più sincera verità, pensava che nulla sarebbe più riuscito a dividerli. Ma Maddalena, invidiosa, forse ancora innamorata, o forse ancora attaccata a quella storia ormai finita, aveva fatto tornare tutto come prima.
E Martino, sempre più confuso, se ne stava seduto sulla poltrona, davanti alla finestra, e fissava distratto la neve che cadeva, pensando a tutto quel casino che era successo.
Doveva solo ricomporre i pezzi del puzzle.
Doveva ricomporre il suo cuore rotto.
Ma ora aveva solo bisogno di staccare la spina. Solo per un po'. Ora la cosa più importante era caricare la sua valigia in macchina, e guidare fino a Bracciano.
Era cresciuto, maturato, ma le abitudini erano rimaste sempre le stesse: Giovanni, il suo migliore amico da un'intera vita, lo aveva invitato al Lago per il weekend. Tanta pizza, della birra, un po' di Fifa e i soliti amici. Non conosceva modo migliore per staccare la mente dai soliti pensieri, che da un mese ormai lo tormentavano, che non lo facevano più dormire. L'unica cosa che aveva visto in quell'ultimo mese erano quelle 4 mura spente e vecchie di casa sua; e l'unica faccia che aveva visto era quella di sua madre, e qualche volta di Davide, il suo compagno.
Si era chiuso in se stesso, e nella sua depressione.
Ognuno ha un modo diverso di affrontare il dolore, e lui aveva quello.
Ma Giovanni era riuscito a convincerlo ad andare in quella casa. Si ricordò di tutti i momenti insieme ai suoi amici di sempre, e decise che per una volta, la vaschetta di gelato alla panna davanti ad un film romantico e strappalacrime potevano aspettare.
Così salì in macchina, e si diresse verso la sua destinazione.
———
ore 21:36:
Scese dalla macchina, coprendosi bene il naso per il freddo. Appena aprì la portiera della sua macchina, il freddo lo avvolse in tutto il corpo, provocando leggeri brividi lungo quel corpicino esile, sotto mille strati di maglie, maglioncini e cappotti.
La neve sul suolo formava un tappeto bianco intorno a lui, tanto da non riuscire a distinguere il vialetto che portava a casa di Gio. Era abbastanza buio, e l'unico lampione nei paraggi illuminava la strada davanti a lui.
Si fece strada nella neve, alzando gli scarponcini ad ogni passo, fino a raggiungere l'uscio.
Da fuori non vedeva luci. Vedeva solo quella piccola abat-jour in salotto, che illuminava ben poco la stanza, e il camino acceso.
Aprì la porta.
I suoi amici non c'erano.
C'era soltanto la luce della lampada, il fuoco acceso e una leggera musica messa a volume basso in quella radio vecchia sulla mensola.
Si tolse il cappotto, e camminando verso l'attaccapanni vide delle candele profumate sul pavimento, lungo tutto il corridoio.
Poi si accorse di qualcos'altro.
Erano petali, petali di rosa rossi.
Come le candele, guidavano dritti verso la camera da letto.
Il suo cuore cominciò a battere all'impazzata.
Il suo corpo cominciò a tremare, da cima a fondo.
Prese coraggio, e attraversò quel corridoio.
Gli sembrava immenso.
Sembrava non finire più.
Finalmente arrivò alla maniglia della porta.
Sollevò il braccio, e mise la mano sulla maniglia fredda di metallo.
Fece un sospiro grande, e aprì.
La stanza era buia, illuminata solo dalla tapparella semi-chiusa, che faceva entrare soltanto la luce della luna.
Niccolò era in piedi, immobile, in mezzo alla stanza.
Sentì la porta della camera chiudersi a chiave.
Gio. Di nuovo.
"siamo di nuovo in trappola mi sa." sussurrò Niccolò, con l'unico filo di voce che l'emozione non gli aveva ancora rubato.
"mi sa di si."
Si guardarono.
Guardarono le loro sagome, al buio. Erano distanti meno di un metro l'uno dall'altro.
Sentivano i loro cuori esplodere nei loro petti.
Non si dissero niente.
I loro cuori parlavano già.
Le loro anime si riunirono di nuovo.
Si avvicinarono.
Niccolò sfiorò le guance di Martino con un dito.
Quel viso era di nuovo tra le sue mani.
Non c'era altra cosa più bella di quello, per lui.
" sono un coglione. Scusa."
Al suono di quelle parole, Martino pianse.
Si liberò dalla tensione. Dalla tristezza.
A quella frase riuscì solo ad annuire. Non disse una parola. Lasciò parlare Niccolò.
" da oggi in poi nessuno riuscirà a dividerci."
" e che ne sai tu?"
" i miei genitori hanno chiesto un ordine restrittivo verso di lei."
Nel dirlo, la bocca di Niccolò si allargò in un sorriso.
Martino sorrise.
E si baciarono.
Un bacio lungo.
Pieno di mille parole, di quelle non dette ad alta voce.
Pieno di passione.
Un bacio che raggruppava tutti quelli che non si erano dati nell'ultimo mese.
E fecero l'amore, in un tempo che a loro sembrò una vita intera. Le loro anime si unirono. Di nuovo.
I loro corpi si fusero, formando una cosa sola.
Come l'ultimo pezzo di un intero puzzle incompleto.
Martino, per Niccolò, era esattamente quel pezzo mancante del puzzle. Lo completava.
"Marti?"
"mhm..?"
"ti amo."
E Martino si sentì di nuovo a casa.